di Anna Maria Bruni Cinque lavoratori della Alcatel di Battipaglia si sono asserragliati dentro lo stabilimento e, armati di taniche di benzina e bombole a gas, minacciano di darsi fuoco se non sarà rivista la decisione dell’azienda di chiudere il sito, mandando a casa 400 lavoratori. I lavoratori fanno sul serio, tanto che la segretaria confederale della Cgil Susanna Camusso è intervenuta con un appello nel quale chiede che siano messe in campo sufficienti garanzie per il futuro di questi lavoratori, che rischiano di “far male prima di tutto a se stessi”. La cosa non è da sottovalutare, perché da mesi è in ballo la chiusura dell’azienda senza che si sia ancora concretizzato un tavolo per la discussione di un serio piano industriale che coinvolga il sito della provincia salernitana. E tutto ciò nella ordinaria invisibilità cui viene condannato il mondo del lavoro, per il quale il gesto estremo sembra essere l’unica arma rimasta per ottenere attenzione. Già dal febbraio scorso infatti l’azienda, che produce hardware e software per telecomunicazioni ed è leader mondiale per la trasmissione in fibra ottica, aveva preannunciato un piano di riduzione dei costi che prevedeva il mantenimento di un unico stabilimento produttivo in Europa, il che significherebbe che i due stabilimenti italiani di Trieste e Battipaglia, subirebbero il primo la delocalizzazione della produzione verso i paesi low cost (Cina e Romania), mentre il sito di Battipaglia la chiusura totale. Inoltre il taglio del 50% di lavoratori “non Alcatel” – ovvero 500 interinali Alcatel, cioè non lavoratori diretti – la delocalizzazione delle attività amministrative in Romania e la riduzione di un certo numero di manager. Il Coordinamento nazionale Fiom Fim Uilm per la Alcatel aveva immediatamente dichiarato la propria contrarietà al trasferimento della produzione nei paesi a basso costo, e chiesto un tavolo con il Ministero dello Sviluppo economico per la tutela dei siti produttivi, il rilancio di un piano industriale e un piano di investimenti e ricerca. A queste richieste l’azienda aveva risposto con la conferma della delocalizzazione delle attività produttive di Trieste e la chiusura o l’esternalizzazione del sito di Battipaglia entro il 2009. A fronte di questa presa di posizione dell’azienda, e dopo l’ennesima mancata convocazione da parte del Ministero, i lavoratori hanno avviato il presidio dello stabilimento del salernitano, chiedendo alle istituzioni locali di attivarsi per chiedere un intervento da parte del governo per la ricerca di soluzioni alternative. L’incontro al Ministero dello Sviluppo economico, avvenuto il 21 luglio, è approdato alla sospensione della procedura di cessione di ramo d’azienda avviata l’8 luglio, e che si sarebbe dovuta concludere il 2 agosto con il trasferimento dei lavoratori al 1 settembre, fissando l’incontro successivo con l’azienda alla fine di luglio. Ma nell’incontro successivo, avvenuto il 29 luglio, l’azienda è tornata a confermare il piano originario di riduzione dei costi. Anche in questo caso, come già per la Innse o per la Manuli, va detto che nel quadro di una crisi generale il settore in cui opera la Alcatel non risente di particolari restrizioni di mercato, e tantomeno la compagnia francese che tra l’altro, è notizia del 1 settembre, è stata scelta da Mediaset per la creazione di una nuova infrastruttura di trasporto audio-video in tecnologia ottica ad alta velocità, con collegamenti terrestri e sottomarini che coinvolgeranno tutto il territorio nazionale, isole comprese. “I lavoratori non intendono pagare i costi di una crisi che evidentemente riguarda solo loro, e nella quale sono abbandonati a se stessi”. Con queste motivazioni i cinque dell’Alcatel hanno dato vita alla reazione di protesta. Il ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola ha risposto convocando un tavolo per il prossimo 15 settembre a Roma, nella sede del Ministero, ma fino ad allora i cinque non intendono recedere dalla loro posizione. “Vogliamo garanzie certe” dicono, fra gli applausi dei loro colleghi sempre in presidio davanti ai cancelli dello stabilimento. Anche il segretario della Cgil salernitana Franco Tavella invita a non sottovalutare la situazione: “Sono segnali preoccupanti di un’esasperazione crescente che non risparmia nessuno, dai precari della scuola all’industria al pubblico impiego. Il compito di tutti è di evitare che vi sia un moltiplicatore di queste forme di protesta che possono diventare incontrollabili”. Il leader dell’Italia dei valori Antonio di Pietro “associandosi alla richiesta dei dipendenti Alcatel ha presentato un’interpellanza al ministero delle attività produttive, per chiedere che venga preso in considerazione un piano industriale che, coinvolgendo Regione, Alcatel e Governo, permetta di sviluppare tutte le tecnologie del settore delle telecomunicazioni a partire dalla banda larga. Questo è l'unico modo – afferma il numero uno dell’Idv - di salvaguardare l'occupazione e le professionalità presenti nello stabilimento e di dare una seria alternativa”. “Cedere l'azienda, come si intende fare in queste ore, ad una cordata di imprenditori, - continua Di Pietro - significa condannare l'Alcatel di Battipaglia alla chiusura azzerando tutti i posti di lavoro”. L'Italia dei Valori, che sta seguendo la vicenda anche sul posto in diretto contatto con le organizzazioni sindacali e con il sindaco, “chiede al Ministro delle Attività Produttive di convocare le parti in causa, al fine di impedire – denuncia - questa grande speculazione. È tempo di progetti che abbiano una prospettiva vera, a partire dal piano di settore nazionale sulle telecomunicazioni, e il Governo ha il dovere di farsene promotore e garante, assumendosene le responsabilità”. Condividi