Cosa succederebbe in Umbria se il 14 Settembre chiudesse una azienda con 792 dipendenti? Dovrebbe succedere quello a cui abbiamo assistito quando si è manifestata la grave crisi della Merloni di Gaifana o quando la proprietà tedesca della Thyssen ha annunciato il ridimensionamento della sua presenza a Terni. In Umbria già la chiusura di realtà aziendali molto più piccole ha prodotto iniziative importanti di mobilitazione, di apertura di tavoli, di costruzione di vertenze per salvaguardare i livelli occupazionali grazie al ruolo delle istituzioni e delle organizzazioni sindacali. Tutto questo non sembra avvenire per l’annunciata perdita di lavoro dei 792 lavoratori della scuola. Questo infatti è il numero di lavoratori che, con la ripresa dell’anno scolastico, non vedranno più assegnarsi cattedre o posti come amministrativi e personale ausiliario. A settembre assisteremo alla chiusura di una grandissima azienda, come poche ce ne sono in Umbria, per i provvedimenti assunti dal Governo nazionale. La questione si può prendere anche da un altro punto di vista: le pesanti ricadute negative sulla qualità della nostra scuola prodotte dall’aumento del numero dei ragazzi nelle classi; la riduzione del sostegno ai ragazzi con handicap; le attività per facilitare l’inserimento degli studenti stranieri; la riduzione del tempo pieno; l’accorpamento di istituti e la chiusura di alcuni plessi. Insomma un vero e proprio terremoto che ridisegnerà la scuola pubblica ancora una volta in peggio. I provvedimenti dell’attuale Governo fanno rimpiangere il Giolitti che, comprendendo che per mirare allo sviluppo del paese bisognava portare le scuole, almeno quelle elementari, in tutti i comuni, avviò un possente processo di attuazione di questo principio con finanziamenti ai comuni per costruirsi la propria scuola elementare e pagarsi i maestri. Oggi assistiamo ad un processo esattamente contrario: non esiste più da anni il fondo nazionale per l’edilizia scolastica (solo in parte reintrodotto dall’ultimo governo Prodi); i plessi nei piccoli centri sono chiusi con costi aggiuntivi per i comuni per i trasporti; vengono autorizzate direzioni scolastiche con più di mille studenti rendendo difficilissima qualsiasi gestione di qualità nonostante il grande impegno di dirigenti scolastici e personale amministrativo. La chiusura di un plesso, la presenza di 28/29 alunni in una classe, rafforzano quel processo di disuguaglianze intellettuali e sociali che solo i circa 14 mila edifici della scuola pubblica possono colmare se messi nella condizione di accogliere una scuola di qualità. Ci allontaniamo sempre più da quel progetto riformatore di cui avrebbe bisogno il paese e che mettesse a disposizione di ogni cittadino e cittadina luoghi e strumenti per un percorso scolastico che vada dall’infanzia all’università e, dopo questa, dentro i percorsi dell’educazione permanente li accompagni per tutta la vita professionale e post professionale per combattere l’analfabetismo di ritorno. Questa è la strada intrapresa in gran parte dell’Europa. Se andassimo a vedere alcuni dati di settore scopriremmo come ogni anno si allarga il gap degli investimenti tra noi e gli altri paesi europei. Questo non fa bene a nessuna articolazione sociale, economica, istituzionale del paese perché, come è stato detto “si può sperare di essere ignoranti e ricchi per una generazione, non per due”. L’inizio dell’anno scolastico è prossimo e solo quest’anno, ripeto, 792 lavoratori della scuola perderanno il proprio posto di lavoro e altri centinaia nell’anno scolastico 2010-2011. Questo non è solo un problema che riguarda i livelli occupazionali ma qualcosa che incide nel profondo del corpo sociale e culturale dell’Umbria e dell’Italia. Ognuno di noi, come cittadino, sta subendo la perdita di un diritto primario: quello dell’istruzione per i propri figli; quello di una scuola pubblica in grado di garantire elevati livelli di qualità; in una Europa della conoscenza non possiamo diventare una sorta di zona franca del sapere. Condividi