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Valorizzare e promuovere il miele e le produzioni apistiche umbre, rafforzare l'assistenza agli apicoltori, migliorare i sistemi di prevenzione e cura delle patologie e delle selezioni genetiche dell'"Apis Mellifera Ligustica", l'ape più diffusa in Italia, introdurre attrezzature più moderne di allevamento, lavorazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti, ma anche provvedere certificazione di qualità, alla tracciabilità e all'etichettatura: sono alcuni degli obiettivi del Piano triennale a favore dell'apicoltura per il 2009-2011, che la Giunta regionale, su proposta dell'assessore all'Agricoltura Carlo Liviantoni, ha preadottato per sviluppare e valorizzare il settore, in attuazione della legge regionale 24/2002. Il documento dovrà essere approvato dal Consiglio regionale e sarà sviluppato attraverso tre programmi annuali e la pubblicazione di appositi bandi. Previste specifiche campagne di educazione alimentare e valorizzazione del prodotto umbro nelle scuole e negli agriturismi, interventi per dotare gli apicoltori di adeguate attrezzature per l'allevamento delle api e per lavorare e commercializzare i prodotti apicoli. L'apicoltura umbra per numero di alveari (quasi 33mila) rappresenta il 2,8% del dato nazionale. La maggior parte degli apicoltori sono stanziali (oltre il 97 per cento sul totale, con l'83 per cento degli alveari), spesso hobbisti e semiprofessionisti in aziende non specializzate. Il 50 per cento degli apicoltori ha un numero di arnie inferiori a 20 e una produzione di miele inferiore a 3 quintali all'anno. Il 3 per cento dei cosiddetti "nomadisti" (con molti più problemi derivanti dall'entità degli investimenti per mezzi e macchinari o per i costi di trasporto per la transumanza) produce invece quasi 70/80 chili l'anno. Dall'esame dei dati, nei luoghi montani (con temperature medie di 18°C in estate, 3°C in inverno e precipitazioni pluviali di 1200/1400 mm annue) risiede circa il 18 per cento degli apicoltori con una media di quasi 10 alveari per operatore. La produzione più redditizia (con aziende più sviluppate sotto il profilo produttivo e gestionale) è nelle zone del Trasimeno e lungo il bacino del Tevere (Perugia, Marsciano, Orvieto e Ternano), caratterizzate da clima sub-mediterraneo collinare. In Italia, secondo gli ultimi rilevamenti, ci sono 1 milione 150mila alveari e circa 50mila apicoltori, di cui almeno 7mila sono imprenditori che svolgono attività apistica a fini di reddito. Circa il 60 per cento delle aziende produce solo miele, con una produzione media annuale di 11mila tonnellate, quantità che soddisfa circa la metà del fabbisogno interno. Una flora diversificata e favorevoli condizioni climatiche consentono una vasta gamma di mieli provenienti da un'unica specie botanica, molti dei quali pregiati dal punto di vista organolettico e qualitativo: da quello di robinia o acacia, a quelli di agrumi, sulla e castagno. Il consumo per persona (meno di 500 grammi all'anno) posiziona l'Italia ai livelli più bassi rispetto agli altri Paesi comunitari. Le esportazioni, pur con periodici alti e bassi legati a particolari andamenti di mercato, in questi ultimi anni si sono mantenute intorno alle 2mila 500 tonnellate (circa il 24 per cento della produzione nazionale). L'Italia è anche tra i maggiori importatori di miele, con un flusso di quasi 15mila tonnellate annue, che provengono principalmente da Argentina, Ungheria, Germania e Paesi dell'Est europeo e che vengono utilizzate dall'industria. In base agli ultimi rilevamenti del 2006, in Europa sono presenti circa 11,5 milioni di alveari, condotti da quasi 600mila apicoltori, per una produzione di 174mila tonnellate di miele. La produzione media comunitaria si aggira intorno ai 15 chili di miele per alveare l'anno e ogni apicoltore possiede mediamente 20 alveari. La produzione comunitaria di miele, ricorda la Regione Umbria in una nota, è nettamente insufficiente rispetto al fabbisogno interno ed è pertanto costante ed elevato il ricorso ad importazioni di miele, soprattutto dal Centro e Sud America, dall'Est Europa, da Nord e Sud Africa. Condividi