Susanna Camusso* da Liberazione del 25 agosto
In autunno, quale sarà la priorità? A questa domanda vi è una risposta precisa ed unica: l'occupazione. Ovvero quali scelte, quali strumenti debba mettere in campo un governo per evitare che la crisi si traduca nella "decimazione" del nostro sistema produttivo. Questo significa domandarsi come continuare a tutelare il reddito di chi è già in disoccupazione: ci sono state 370mila domande di sussidi in gennaio e febbraio: poi, non si sa perché, l'Inps ha secretato i dati. Oppure, come potranno accedere i collaboratori a quella una tantum tanto promessa e tanto irragiungibile? E poi, come rompere il silenzio sul lavoro nero ed irregolare? Se si volesse - perché si deve - difendere l'apparato produttivo e l'occupazione, non basterebbe liquidare il tema con un "le risorse ci sono" come fa sul Corriere il ministro del Welfare e del Lavoro nella sua intervista. Infatti, se questa è la priorità servono politiche industriali e tutele dell'occupazione del reddito ovvero occorre ricordarsi che tra le cause fondamentali della crisi c'è la distorsione intervenuta proprio nella distribuzione della ricchezza che ha penalizzato il lavoro dipendente. Lavoro e salario quindi, l'abc per un sindacato, per la sua azione e per l'unità.
Non sarà forse per evitare di misurarsi con questo quadro che il ministro interviene a gamba tesa sul tema della contrattazione reintepretando la rivendicazione della Lega sulle gabbie salariali, pretendendo di gettare i contenuti della contrattazione e presentando il secondo livello come "prodotto innovativo" dell'accordo separato? Facile leggere nell'intervista la volontà di dividere il sindacato: più nuova, ma non meno pericolosa, l'idea che il governo detti le conclusioni a cui dovrebbe pervenire la contrattazione. Dice il ministro: «Se vi permettete conclusioni autonome il governo non farà ciò che una legge, l'accordo interconfederale 2007 e altri decreti trasformati in legge, già prevedono. Qui occorre una parentesi: il governo in qualità di datore di lavoro quindi per il lavoro pubblico pensa ad una grande estensione della contrattazione e alla sua detassazione? Se fosse così per coerenza il ministro dovrebbe rivendicarla perché l'accordo separato dice esattamente il contrario. Lo schema del ministro è chiaro, l'ideologia che lo sorregge anche, è comunque utile riordinare i temi per non sottovalutare l'idea "sovietica" che permea l'accordo del 22 gennaio e si ripropone nel dirigismo dell'intervista. La Cgil non ha firmato l'accordo separato perché non protegge i salari e non estende la contrattazione di secondo livello, anzi la peggiora attraverso le deroghe. Bisogna ricordare agli osservatori disattenti che sia la contrattazione di secondo livello che la detassazione non nascono nel 2009, esistono da lungo tempo. Il difetto della contrattazione di secondo livello è che coinvolge pochi lavoratori, circa il 25%. Questo anche per le caratteristiche del nostro sistema produttivo: frantumato e costellato di microimprese e servizi. Non a caso quando vi era una piattaforma unitaria si rivendicò l'estensione della contrattazione nel territorio, nella filiera, nel comparto: tutte proposte negate da Confindustria e governo. Giova ricordare l'esistenza della contrattazione perché nel Paese reale i salari sono già differenziati. Molte sono le variabili che determinano differenze: dimensioni di impresa, settori, produttività, redditività, qualità, rapporti di forza. Allora tanta enfasi del ministro sul salario non uguale non nasconde l'idea di abolire o almeno sminuire il contratto nazionale? Ancora lo stesso uso proposto della detassazione che la trasforma da incentivo della contrattazione a strumento di discriminazione che cosa nasconde? Come può un sindacato generale e confederale come quello italiano condividere politiche di detassazione che non riguardano tutto il lavoro dipendente ma solo una parte minoritaria? Dato che ciò crea due conseguenze, far venir meno la progressività fiscale sui redditi e penalizza i lavoratori che lavorano in una piccola impresa o in un settore più esposto alla concorrenza anche sleale, come per esempio un'impresa di pulizia costretta a legare al massimo ribasso. Per questo la Cgil non si stanca di ripetere che serve un provvedimento generale di detassazione del lavoro dipendente e delle pensioni anche per contrastare la crisi. La confusione che invece viene proposta tra secondo livello e fisco è supportata nelle parole del ministro dall'idea che il salario debba guardare a meriti e bisogni. Frase ad effetto dove sparisce totalmente l'idea del lavoro della sua qualità della professionalità e dell'organizzazione del lavoro stesso. Nell'era paleoindustriale il salario era connesso al "sostentamento" aveva la funzione di far sopportare la fatica, da qui anche la diversità tra uomini, donne e fanciulli: una discriminazione basata sull'idea che c'erano diverse possibilità di sostenere la fatica. Lunghe lotte, civiltà e progresso hanno giustamente prodotto altre teorie in primis l'idea che a uguale lavoro debba corrispondere uguale retribuzione, che il lavoro di manuale non è di per sé meno meritevole di quello intellettuale. Tutto ciò è stato fondamentale per superare discriminazione di sesso razza o religione che altrimenti proliferebbero ancor di più di quanto già non sopravvivano sempre in quel Paese reale che il governo non conosce.
Infine nei valori che al lavoro vanno riconosciuti e che la contrattazione pur con tutti i suoi limiti cerca di affrontare vi sono quelli dell'autonomia delle parti. Quell'autonomia delle parti che l'accordo separato cerca di eliminare che invece è riconosciuto dalla nostra Costituzione oltre che dalla storia del movimento dei lavoratori del nostro Paese. Sempre quel sindacato confederale generale deve essere custode attento dell'autonomia della contrattazione perché in quell'autonomia c'è la risposta alle condizioni concrete del lavoro e l'ambizione di migliorarle sempre; sarà fuori moda ma l'orgoglio del lavoro della sua fatica come della sua qualità sono ancora motore essenziale di riconoscimento e di emancipazione. Il ministro si preannuncia "censore" delle soluzioni contrattuali che troveranno le categorie. Non sembra un compito proprio per un ministro che invece dovrebbe favorire soluzioni unitarie, ma nell'ansia della divisione si cambiano anche i ruoli. Deve essere chiaro, con buona pace dei fautori del modello contrattuale separato che quel modello non offre risposte alla crisi, non solo perché altre sono le risposte da dare, ma anche perché non tutela i salari. Ciononostante la stagione autunnale dei contratti sarà molto importante e misurerà per il sindacato e per i lavoratori sia la qualità della tutela dei salari che l'autonomia contrattuale. Per questo bisogna valutare seriamente le ragioni della rottura unitaria nella trattativa del contratto alimentare, rottura che è lì a dimostrare che dirigismi e diktat non determinano la soluzione ma aprono un problema.
segretaria nazionale Cgil
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