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Da Liberazione:"21 agosto 1964: moriva a Jalta, in Ucraina (allora Unione Sovietica), Palmiro Togliatti. È stata a lungo una consuetudine parlare (scrivere) di Togliatti il 21 agosto. Un appuntamento fisso. In questa data, per molti anni (almeno 25, fino al 1989), il quotidiano del Pci, l'Unità , fu solito pubblicare in prima pagina l'articolo di un dirigente o di un intellettuale comunista per ricordare il fondatore del "partito nuovo", l'artefice della "svolta di Salerno". Non sempre si trattava di una semplice commemorazione retorica. A volte era anche l'occasione per affacciare una nuova interpretazione, per ipotizzare una correzione di prospettiva politica, per avanzare una critica più o meno esplicita (celebre quella a Berlinguer di Napolitano che, il 21 agosto 1981, proponeva un parallelo - non poco forzato, a dire il vero - con il cauto atteggiamento del Pci verso il primo centro-sinistra degli anni '60 per dissentire dalla dura polemica anticraxiana messa in campo a inizio anni '80 dall'Enrico più amato dagli italiani). Era un modo, insomma, per fare una mossa nello scacchiere dei rapporti interni al partito. Soprattutto da quando, a partire dalla seconda metà del decennio precedente, sempre più il Pci era divenuto, nei fatti, un insieme di culture o "sensibilità", non ossificate in correnti organizzate, ma comunque ancora cementate da un forte costume unitario e da una disciplina interiorizzata che permetteva la coabitazione nella stessa "casa comune" di posizioni diversissime, come quelle esemplificabili coi nomi di Ingrao e di Amendola, di Berlinguer e di Cossutta, di Napolitano e di Tortorella, e così di seguito. L'anno dell'ultimo "21 agosto" di cui ho memoria è, guarda caso, il 1989. Venti anni fa esatti. Forse qualche altro articolo per l'occasione ci sarà stato, negli anni seguenti. Non lo escludo. Ma io ricordo il 1989 come fine di questa consuetudine: fine anche di questa tradizione dell' Unità . Forse perché in quell'agosto stavano già preparando il funerale al Pci, al più grande partito comunista mai esistito nell'Occidente capitalistico. 21 agosto 1989, dunque. Anzi, 20 e non 21, perché il 21 agosto cadeva di lunedì quell'anno, e il lunedì l'Unità aveva meno pagine e molte dedicate allo sport (e non erano un granché, francamente). E meno copie vendute. La domenica invece era il giorno di massima diffusione, benché la vendita casa per casa e strada per strada, organizzata ogni domenica mattina per 40 anni da tutte le sezioni comuniste d'Italia era ormai stata quasi del tutto (ma non completamente) e quasi da per tutto (ma non ovunque) dismessa. L'articolo su Togliatti quell'anno lo scrisse Biagio de Giovanni, filosofo studioso di Hegel, di Marx, di Gramsci e anche di Togliatti, membro della Direzione dal marzo precedente (XVIII Congresso). L' Unità - diretta allora nominalmente da Massimo D'Alema (che il 20 agosto per giunta era in vacanza in barca a vela) e di fatto dal condirettore Renzo Foa e dal capo-redattore Piero Sansonetti, poco sensibili al tema dell'"identità comunista" - mise un titolo significativo all'articolo: C'era una volta Togliatti e il comunismo reale . Che voleva dire: il comunismo e Togliatti sono parte di un mondo ormai tramontato, che non è più il nostro. De Giovanni all'inizio dell'89 aveva pubblicato un libretto che era piaciuto a molti dei fautori più accaniti del "nuovo corso" occhettiano. La parola d'ordine del "nuovo corso" era "discontinuità". E in quel libretto - La nottola di Minerva , che era poi la civetta, l'uccello simbolo della filosofia, cioè della comprensione dei fatti e della storia, che secondo Hegel si alzava in volo solo al crepuscolo, a significare che tale comprensione avviene sempre a posteriori - De Giovanni aveva fissato un paletto importante di questa "discontinuità" occhettiana. Gramsci era in , Togliatti era out . Una specie del celebre gioco: "chi butto giù dalla torre?". Togliatti - spiegava De Giovanni - aveva dato al suo partito uno "storicismo giustificazionista". Questo giustificazionismo portava al continuismo, alla scarsa capacità di innovazione. Il continuismo impediva la discontinuità. Era out , era fuori. È stato scritto (da Giuseppe Vacca) che l'articolo di De Giovanni fosse stato concordato con la segreteria, con Occhetto & co. Esso ripeteva, accentuandole, le tesi della Nottola di Minerva : Togliatti era appartenuto all'epoca dello stalinismo, lo stalinismo era ormai acqua passata, Togliatti era da buttare in soffitta. O giù dalla torre, se preferite. Alla faccia della commemorazione. Del resto tutto ciò era molto occhettiano: il segretario, fresco di nomina, era andato l'anno precedente a Civitavecchia a inaugurare un monumento a Togliatti e lo aveva definito poco meno di un sicario di Stalin. Era rischioso, insomma, chiamare un occhettiano a commemorare qualcuno. Specie se comunista. Cosa successe in quello strano "partito comunista non più comunista" (Scalfari, giugno 1989) che già in quelle settimane discuteva di cambio del nome (ipotesi respinta da Occhetto e da membri autorevoli della segreteria) e di adesione al gruppo socialista del parlamento europeo (tentativo fallito per il veto di Craxi)? Una generale e inaspettata levata di scudi contro l'articolo di De Giovanni. Contro quella brutale liquidazione di Togliatti e quella distorsione della storia del partito si ribellarono con interventi e interviste di fuoco i togliattiani miglioristi e quelli rivoluzionari, quelli comunisti e quelli laburisti, la destra e la sinistra, gli amendoliani e gli ingraiani, e i cossuttiani. Dicendo: ma se iniziamo a dimenticare la nostra storia, o peggio se la falsifichiamo, se dimentichiamo quanto ha contribuito a fare Togliatti per il nostro paese e per il nostro popolo, che esistiamo a fare? Se dimentichiamo ad esempio il contributo di Togliatti per la sconfitta del nazifascismo, la conquista della Repubblica, la sua Costituzione "fondata sul lavoro", la costruzione di un grande partito-comunità di massa... Allora diamo ragione a Craxi, suicidiamoci entrando nel suo partito come ci ha chiesto di fare, e non se ne parli più! Occorreva invece - risposero allora in tanti a De Giovanni - soprattutto non dimenticare e valorizzare il fatto che Togliatti aveva sposato socialismo e democrazia, e classe e nazione, non una cosa da poco, in un paese come l'Italia che nazione in pratica non era stata mai e anche per questo aveva regalato al mondo quella invenzione da esportazione chiamata fascismo. Quel 1989 avrebbe di lì a poco riservato per il Pci un finale diverso, l'inizio di un finale diverso, forse annunciato nella sostanza, ma imprevedibile nella forma. Un finale amaro per molti. Una sconfitta storica, la fine del Pci, in una situazione generale di sconvolgimenti epocali che poteva anche produrre un esito di non così radicale sconfitta. Da quei fatti ci restano due insegnamenti almeno. Il primo è a non dimenticare la storia, in primo luogo la nostra storia di comunisti, fatta certo anche di pagine nefaste da non rimuovere e da avere sempre presenti in senso critico e autocritico, ma pure di insegnamenti da non dimenticare e da portare con noi. Il secondo a considerare che la storia, pur fondamentale, da sola non basta. Si può anche essere d'accordo sulla storia, ma non sul progetto e sulla politica. C'è bisogno di entrambe le cose. Dunque, costruire insieme il presente e il futuro, non dimenticando il passato, la storia. Togliatti e il Pci sono un pezzo importante della storia delle classi subalterne in Italia. Non solo: sono parte di una tradizione comunista e democratica forse unica, che è stata - grazie anche a Gramsci e Berlinguer - un punto di riferimento per compagne, compagni, gruppi e movimenti che in tutto il mondo hanno gridato che comunismo e democrazia non sono incompatibili, anzi devono stare insieme. A 45 anni dalla morte di Togliatti e a 20 anni dalla fine del Pci bisogna ostinatamente non dimenticare tutto questo. Per andare avanti e far crescere il nuovo senza recidere le radici." Condividi