Il consigliere regionale Armando Fronduti (FI-Pdl) ha reso nota la sua condivisione della scelta della ministra Gelmini di ricorrere al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio, la quale sancisce che “sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico”, estromettendo gli insegnanti di religione cattolica da un ruolo attivo in sede di scrutini di fine anno.
Ma non si è fermato qui. Ha addirittura dichiarato che è «giunto il momento di rendere obbligatoria l’ora di religione in tutte le scuole», cioè nelle scuole di ogni ordine e grado.
L’appartenenza di partito ha sicuramente condizionato le sue esternazioni, ma ciò che lascia perplessi è soprattutto l’assenza di coerenza delle sue dichiarazioni e l’inesattezza delle informazioni che ne sostengono la tesi.
In primo luogo, Fronduti pur sostenendo l’obbligatorietà dell’ora di religione, si contraddice poi affermando che «oggi vi è la piena libertà di scegliere se frequentare o meno l’insegnamento della religione, per questo non si comprende il motivo che spinge qualcuno a voler limitare questa libertà». Delle due, l’una. O si annulla totalmente la libertà di scelta rendendo obbligatoria l’ora di religione, o la si preserva da ogni tipo di limitazione, impedendo qualunque pretesa di obbligatorietà.
In secondo luogo, egli parla degli insegnanti di religione come di docenti che avrebbero «superato un concorso», cosa che non è assolutamente vera. Gli insegnanti di religione cattolica, in realtà, non sono tenuti a sostenere le prove di un regolare concorso poiché vengono nominati dal vescovo territorialmente competente. Lo stipendio, però, glielo paga lo Stato, ergo noi (quando si parla di pagare, lo stato siamo noi, quando si parla di decidere e di diritti, lo stato non siamo noi).
In terzo luogo, il consigliere Fronduti riferisce di una discriminazione che una minoranza (l’8% degli studenti che rinunciano all’ora di religione) perpetrerebbe ai danni di una maggioranza (il restante 92% che decide di avvalersi dell’insegnamento di religione), escludendo la religione cattolica dalla valutazione dell’alunno. Anche qui, sorge un dubbio. Forse non è chiaro che il diritto di scelta, quando è reale, non dà mai luogo a una discriminazione: si chiama appunto “libertà” di scelta. Sul piano della democraticità, rendere l’ora di religione obbligatoria non migliorerebbe certo la situazione.
La sentenza del Tar, invero, spiega bene i termini della questione: «L'attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione».
Se il Consiglio di Stato dovesse confermare la sentenza del Tar – cosa alquanto difficile visto che dovrebbe sconfessare una sua decisione di due anni fa – si farebbe un passo avanti nel cammino dell’equità e della laicità.
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