Il governo ha recentemente previsto l’applicazione degli ammortizzatori sociali, nella misura del 50% dello stipendio, a un numero contingentato di dipendenti scolastici (insegnanti e personale ATA) che dal 1° settembre si troveranno senza uno straccio di lavoro, nemmeno precario.
L’assessore regionale alla formazione, Maria Prodi, sottolinea come questo provvedimento implichi una disparità di trattamento dei lavoratori della scuola rispetto ad altre categorie e ribadisce il suo giudizio negativo sulla riforma Gelmini per gli effetti che questa ha generato nel mondo scolastico. In ultimo fa un appello al governo perché venga ripristinato un clima di dialogo sereno con le Regioni.
Fin qui, tutto sommato, non ci sarebbe niente di strano.
Sennonché, il governo, decidendo di applicare un’indennità di disoccupazione, per quanto parziale, non ha fatto altro che recepire alcune proposte che i parlamentari del PD, Bastico e Fioroni, hanno avanzato per compiere un gesto “di equità e di giustizia sociale per persone che da anni lavorano nella scuola, contribuendo alla sua qualità, e che su questa hanno costruito la propria vita professionale e familiare”: introdurre un’indennità di disoccupazione (pari al 60% della retribuzione per i primi dodici mesi e al 50% nei secondi dodici mesi) per il personale della scuola che abbia avuto un incarico di almeno 180 giorni per quest’anno.
Quindi la disparità di trattamento di cui parla l’assessore Prodi deriva da quello che era stato definito un atto di equità dai suoi colleghi di partito al Parlamento.
Ma il problema sta a monte.
La politica ha il compito di definire gli indirizzi, di operare delle scelte che pertengono al governo delle cose, non può scendere sul mero terreno sindacale per operare una generica “difesa” dei lavoratori. La proposta dell’applicazione degli ammortizzatori sociali per i lavoratori della scuola che perderanno il posto non può essere spacciata per un’“azione concreta” a favore di questi; è una proposta che dal punto di vista politico non rappresenta altro che l’accettazione sostanziale della “ratio” della riforma Gelmini, la condivisione dei principi che sottostanno agli interventi mutilanti del governo Berlusconi sulla nostra scuola.
La scuola non è un’azienda che fa formazione, l’istruzione non è un servizio di cui gli studenti sono utenti (o peggio clienti); la scuola è un diritto costituzionale, è un bene fondamentale per il pieno sviluppo della persona umana. Ed è per questo che Berlusconi e i suoi vogliono smantellare ciò che ne rimane.
L’opposizione deve essere fatta sì contro i tagli della riforma Gelmini, ma prima ancora contro la filosofia della riforma Gelmini.
E’ sul tema della lotta alla cultura della mercificazione delle garanzie democratiche e dell’aziendalizzazione dello stato che in Parlamento esiste un vuoto di iniziativa e di proposta.
Almeno nelle regioni come l’Umbria, la cui tradizione è fortemente orientata a garantire la pubblicità della scuola e il suo buon funzionamento, eleviamo il livello della discussione e della protesta e tentiamo di preservare un diritto fondamentale, salvaguardando nel contempo il futuro dei lavoratori espulsi dalla scuola. Una volta tanto, facciamo qualcosa di sinistra!
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