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Qual è lo spazio riservato alle donne oggi in Italia? Qual è il modo in cui è loro concesso vivere in questo paese? Nelle cronache di questi ultimi mesi risalta un cambiamento pervasivo del senso comune nella rappresentazione della soggettività femminile. Non una questione culturale, non solo un problema di laicità, al contrario un problema politico grave e generale che descrivo in tre punti. Berlusconi torna al governo nella primavera del 2008 e da subito fa uso di un linguaggio sfacciatamente, provocatoriamente sessista, tanto che, ancor prima di toccare le vette di volgarità e maschilismo raggiunte nel clima rovente dell'ultima campagna elettorale, è oggetto di denuncia e di un ricorso presentato alla Corte di Strasburgo dalle deputate Gottardi e Concia del Pd, che ne chiedono la condanna per violazione dei diritti fondamentali delle donne tutelati dalle norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. La denuncia di Veronica Lario mette a nudo lo scambio sesso-potere che è, fra l'altro, dietro le candidature Pdl alle europee. Si inizia a parlare di indebita, scandalosa commistione pubblico-privato e già qui il dibattito ‘contro' manifesta un certo arretramento culturale: la critica rivela quasi una feticizzazione della sfera privata, la riproposizione della separazione ideologica dalla sfera pubblica che sin dai primi anni '70 il femminismo ha denunciato, affermando che "il personale è politico". Ed allora non è la confusione pubblico/privato a dover preoccupare ma piuttosto: 1) la politica che questi fatti mettono in atto, se è vero che il personale è politico e i rapporti fra i sessi hanno sempre un significato politico; 2) la candidatura di veline (come la scelta di ministri e ministre legati al premier da rapporti che nulla hanno a che fare con il governo del Paese) che rivela l'assoluto disprezzo di Berlusconi per le istituzioni. Repubblica cavalca il caso D'Addario, lo scandalo delle escort a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa facendone il principale argomento di opposizione a Berlusconi, in ciò seguita da molti. Si scatena, forse al di là delle intenzioni, una campagna sessuofobica e moralista in cui ricorre ossessivamente il termine "prostituta", mentre la rappresentazione della sessualità femminile, della libertà sessuale tout court, fra denunce di materialismo individualista, interpretazioni post-patriarcali e letture vittimiste dello scambio sesso-danaro, assume connotati davvero preoccupanti. Qual è il problema politico - al di là del legittimo desiderio di liquidare un premier erotomane, ma soprattutto populista e inadeguato, perché guidato dall'interesse proprio e delle proprie aziende? È male che un uomo vada con una prostituta? È male solo se questi è il capo del governo? Sarebbe male anche se non ci fosse un problema di coerenza politica, se cioè Berlusconi non avesse mai cercato il consenso della Chiesa su temi eticamente sensibili, se mai avesse partecipato ad un family day, si fosse anzi speso per una riforma in senso pluralista delle famiglie in Italia? Su questi punti ci vorrebbe chiarezza. Si rischia altrimenti di preparare un terreno favorevole all'approvazione del disegno proibizionista del governo, quando e se il premier darà via libera alla sua presentazione. Purtroppo il dato culturale che emerge è invece assai chiaro e devastante: scopriamo che la prostituzione è considerata immorale e scandalosa quasi unanimemente anche a sinistra, se non altro perché della libera scelta di una donna che si prostituisce sempre pare legittimo dubitare. Si tenta eventualmente la "difesa" di queste giovani donne argomentando che nell'accedere allo scambio turpe premier e escort non sono comunque sullo stesso piano perché, certo, lui ha più potere e per l'appunto, maggiori possibilità di scelta. A me pare che comunque D'Addario o chi per lei si muova pienamente all'interno del patriarcato ma, azzarderei, ci si muove meglio di tante mogli che scambiano abitualmente sesso con un po' di serenità familiare. Mentre si discute di potere e sesso a pagamento accade che l'età pensionabile per le donne nel pubblico impiego venga aumentata a 65 anni. L'uguaglianza, parola estranea al vocabolario di questa maggioranza politica, ma largamente latitante pure nella scorsa campagna elettorale, tanto da sembrare scomparsa dall'agenda politica, è rispolverata guarda caso in quest'occasione, per eliminare quello che viene presentato come un anacronistico privilegio femminile. Si racconta la favola della donna emancipata che pretende e merita parità, occultando il fatto che le donne in tutto il mondo, e particolarmente in Italia, svolgono nelle famiglie la gran parte del lavoro domestico e di cura, un lavoro il cui peso cresce man mano che il lavoro "produttivo", specie femminile, si precarizza o viene meno, man mano che il welfare si ritira, i servizi sociali sono ridotti all'osso, e alle famiglie è addossata per intero l'assistenza di bimbi, anziani, disabili. La risposta a tutto questo è un'idea mistificante dell'uguaglianza che, con l'aumento dell'età pensionabile, non fa altro che riallocare il valore economico del lavoro domestico svolto dalle donne a chi quel lavoro non svolge, cioè agli uomini. Ed ecco infine il tema della laicità, ancora una volta calpestata da quanti sono insorti contro l'approvazione da parte dell'Aifa della pillola RU486. Dedico a questo punto uno spazio più ristretto non perché lo ritenga un tema minore, ma perché i rigurgiti del patriarcato che la vicenda ha indotto sono stati ampiamente analizzati e denunciati dalle donne sulla stampa degli ultimi giorni, con argomenti che largamente condivido. L'idea conclusiva e brutale che sorregge le reazioni delle gerarchie ecclesiastiche e di quanti ne rincorrono spasmodicamente il consenso è che, data la vigenza di quella sciagura della legge 194, che almeno le donne partoriscano con dolore e fra tante difficoltà, vista anche la sorprendente (?) diffusione dell'obiezione di coscienza fra medici e sanitari. Resta da segnalare un dato, se vogliamo pure di civiltà giuridica, che questa vicenda, insieme alle altre che ho qui commentato, denuncia a chiare lettere: in questo paese le donne godono di uno statuto di cittadinanza dimezzato, segnato da uguaglianza zero, pari dignità sociale zero, libertà ridotte o negate. Non è un problema meno serio della crisi della democrazia, né dell'attacco al lavoro salariato. La sinistra di alternativa deve farne un punto qualificante della sua azione politica. Subito! Condividi