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Loredana Fraleone (Liberazione 12 agosto 2009) Da quando è nata la Repubblica e la sua Costituzione, che ha sancito il diritto allo studio come uno di quelli esigibili universalmente, l'istruzione è diventato un valore sociale oltre che culturale e politico. Dagli anni sessanta la conoscenza si è diffusa ed elevata, pur in modo diversificato sul territorio nazionale, pur mantenendo inaccettabili limiti per i settori sociali più deboli. Fino agli anni sessanta, ovvero il periodo in cui i mezzi di comunicazione di massa, la televisione in primo luogo, hanno determinato un sostanziale primato dell'italiano sui dialetti, la scuola pubblica ha condotto una battaglia durissima, dall'Etna al Monte Bianco, per consentite a tutti gli italiani di entrare in possesso della lingua nazionale. Ha alleviato il disagio, almeno dei figli, di quell'enorme quantità di migranti meridionali, arrivati a Torino, ad esempio, ad arricchire la Fiat e subire l'umiliazione di non capire una parola fuori dalla fabbrica. Il ruolo della scuola, dalla grande riforma del 1962, è stato espletato quasi sempre nel rispetto del dialetto come valore inalienabile, ma allo stesso tempo con la giusta determinazione di fare del possesso della lingua italiana uno dei fattori culturali dell' uguaglianza tra i cittadini. Le riforme degli anni sessanta-settanta si nutrivano del pensiero e delle poesie di Ignazio Buttitta e di altri intellettuali che valorizzavano il dialetto e le culture locali, ai quali integrare la conoscenza dell'Italiano, nella consapevolezza di quanto la svalutazione dei dialetti da una parte e la difficoltà d'imparare la lingua nazionale dall'altra costituisse l'elemento principale della selezione di classe. Questo grande patrimonio culturale e civile è ancora vivo se, in tante situazioni, la scuola pubblica costituisce l'unico luogo d'integrazione e di vera e propria protezione sociale, per i tanti migranti di oggi. Oggi la Lega vuole sottoporre ad esami gli insegnanti che oltrepassano il Rubicone in direzione nord, per accertare che conoscano e comprendano i dialetti padani, per annunciare che se ancora non possono impedire che dei "terroni" divengano insegnanti dei propri figli, almeno siano subordinati culturalmente alla "gente padana" e dunque alla sua lingua. Oltre che all'ennesimo oltraggio razzista, ci troviamo di fronte al rovesciamento di quel che aveva come obiettivo la scuola della Costituzione: la diffusione dell'italiano nel rispetto dei dialetti e quindi delle culture locali, come si diceva. Si pretende al contrario l'ossequio a dei dialetti piuttosto che ad altri e si disconosce il valore della lingua nazionale. Che si passi direttamente dal veneto all'inglese o a qualche altra lingua d'importanti partner commerciali! "Lo spirito padano" del quale la Lega si fa paladina si nutre dei consumi e del mercato, unendoli spregiudicatamente all'epica medievale. Non basta, per avvicinarsi sempre più all'aperta dichiarazione di una vera e propria "superiorità razziale dei padani", si utilizza il confronto tra studenti delle varie aree geografiche italiane. In base a più che sospetti dati di istituti di valutazione, ci viene raccontata una scuola virtuosa al nord ed una "cialtrona" al centro sud, dove i risultati degli studenti sarebbero truccati con la compiacenza degli insegnanti terroni. Come si vede la scuola della Repubblica viene aggredita a 360 gradi: materialmente, attraverso tagli e riforme regressive; e culturalmente con la denigrazione, che poi conduce alla delegittimazione di un corpo docente colpevole di essere ancora troppo legato al dettato costituzionale. Per questo sarà indispensabile, a partire da settembre, rispondere su ogni piano, rendere il tema della difesa della scuola della Repubblica la vertenza di tutti coloro che vogliono resistere allo smantellamento della Costituzione e di ogni diritto universale. Condividi