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In queste settimane si susseguono notizie riguardanti il congresso nazionale del PD. Ogni giorno leggiamo interpretazioni su organigrammi, ipotesi di accordi tra le varie anime, ipotesi su chi vincerà il congresso in questa o quella regione (emblematico il caso dell’Umbria) dove tutto sembra ridotto ad una sottile arte basata sullo schieramento di tessere al posto di armate, come se stessimo assistendo ad una partita di Risiko. Parallelamente a questo non entusiasmante scenario se ne sta dispiegando un altro, di tutt’altra natura e che può rappresentare la vera occasione per la sinistra italiana. Mi riferisco al processo che vede protagoniste quelle forze, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Socialismo 2000, associazioni di sinistra di varia estrazione, che fanno della contraddizione capitale/lavoro, di quella ambientale, della contraddizione di genere la centralità della propria proposta politica e programmatica. In questo processo è appunto centrale il tema del lavoro. In questi mesi di grave crisi abbiamo assistito all’aumento di tutti gli indici che fotografano l’andamento del mercato del lavoro. In provincia di Perugia la crisi si fa sentire pesantemente, basta vedere l’andamento di due istituti: la mobilità e la Cassa integrazione. Gli iscritti alle liste di mobilità nel periodo gennaio-maggio 2009 sul 2008 sono aumentati dell’86%; c’è un incremento della cassa integrazione (esclusa quella in deroga) giugno 2009 sullo stesso mese del 2008 più 460%. Allarmante anche l’aumento del numero dei disoccupati. A questa crisi si è risposto nel modo più bislacco possibile, infatti per pagare la cassa integrazione si stanno utilizzando risorse del Fondo Sociale Europeo sottratte alla programmazione di Politiche attive del lavoro dedicate ai disoccupati. L’effetto è la completa assenza di risorse per questi soggetti proprio nel momento in cui ce ne sarebbe più bisogno. Nella discussione che si aprirà in vista delle elezione regionali non si può derubricare la necessità di quali politiche del lavoro e formative dovranno essere proposte per i nostri cittadini e per le imprese. Leggere i numeri e le risposte che vengono date alla nuova emergenza occupazionale è come osservare l’urlo di Munch prendendo atto del fallimento delle politiche degli ultimi venti anni e della necessità di una nuova forza di sinistra, alternativa al liberismo ancora imperante seppur gravemente malato. La crisi è il frutto dello tsunami liberista che è riuscito a mettere gli uni contro gli altri: i lavoratori che dal dopoguerra hanno goduto, grazie ad una grande stagione di conquiste, di un relativo benessere e dignitose condizioni di lavoro, e i nuovi salariati che sono stati costretti a vivere con meno di un dollaro al giorni accettando per questo un lavoro orrendo. Un processo voluto, perseguito con tenacia attraverso la revisione delle legislazioni in tema di mercato del lavoro, oltre che dalla liberalizzazione dei mercati finanziari. Un processo che da più parti è stato descritto come naturale, come se l’economia e la politica avessero un propria natura che risponde a leggi fisiche e non fossero invece discipline che assumono di volta in volta direzioni e contenuti. Non c’è dubbio che quanto avvenuto ha prodotto un lavoro sempre più povero nei livelli retributivi, nei contenuti contrattualistici e normativi, facendo incontrare milioni di persone non verso l’alto ma verso il fondo di un precipizio che sembra non avere fine. Con la proposta di Federazione della sinistra ci proponiamo di parlare di questo per migliorare così la condizione sociale di tanti giovani soffocati da contratti a tempo; dal contratto di apprendistato che dura più del tempo necessario a diventare dirigenti di una azienda; di quei tanti giovani laureati costretti a praticare una moltitudine di lavori che li costringe in un orizzonte privo di prospettiva. Ma dobbiamo saper parlare a quel popolo fatto di piccoli artigiani colpiti dalla recessione e per i quali sembra che l’unica via di uscita siano le risposte antifiscali proposte dalla destra. Credo che il percorso apertosi con l’assemblea del 18 luglio a Roma risponda alla richiesta di una sinistra che torni a fare la sinistra e che veda nell’unità delle sue varie componenti politico-culturali una necessità per ricostruire un punto di vista autonomo riguardo ai temi sopra ricordati. Per raggiungere l’unità è stata scelta la formula della federazione tra queste forze, una forma organizzativa che risponde al meglio, in questa fase, alla necessità di non cadere nella trappola politicista rinchiusa dentro la discussione dello scioglimento dei soggetti, cambi di nomi, costruzione di gruppi dirigenti. Temi che ci impantanerebbero in una sterile discussione che, per quanto ci riguarda, abbiamo già vissuto con l’ultimo congresso di Rifondazione Comunista e che sarebbe speculare alla discussione interna al PD. Un processo necessario per uscire dal minoritarismo minimalista di questi anni, meno radicaleggiante e più popolare e riscoprire la vocazione di una grande forza che viene vissuta come utile e necessaria, capace di darsi un progetto programmatico capace di parlare a tutte le forze sane del paese. Per fare questo serve la Federazione della sinistra. Condividi