«L'attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione ». Con queste parole il Tar del Lazio ha motivato l’accoglimento dei ricorsi presentati da 24 studenti sostenuti da associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche (Chiese Evangeliche, Luterana, Valdese e l'Unione delle comunità ebraiche) che chiedevano l’annullamento dell'ordinanza dell'allora ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni per gli esami di Stato 2007/2008. La sentenza del Tar, invocando il principio della laicità dello Stato, ha precisato che «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico». Appena appresa la notizia, le gerarchie ecclesiastiche hanno incaricato monsignor Diego Coletti, presidente della Commissione episcopale per l'educazione cattolica di far sapere che la Chiesa disapprova la sentenza che viene definita “pretestuosa" e frutto di un "bieco illuminismo". Molto solertemente il ministro dell'Istruzione Gelmini ha tradotto l'indignazione dei vescovi nella minaccia di fare ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza, perché – spiega – questa decisione discriminerebbe la religione cattolica e, soprattutto, gli insegnanti di religione. Mariastella si è guardata bene, però, dal ricordare che in Italia un insegnante di religione cattolica non è tenuto a fare un concorso nazionale, ma viene nominato dal vescovo territorialmente competente e che contrariamente a migliaia di insegnanti che nel prossimo anno scolastico perderanno il posto di lavoro, gli insegnanti di religione cattolica godranno di una sorta di “immunità”. Ha taciuto, per la verità, anche il fatto che la sua riforma della scuola, fatta di tagli e grembiulini, avrà un impatto nefasto perfino sulla possibilità di attivare insegnamenti alternativi a quello di religione. E stupisce – ma non più di tanto – il “relativismo etico” con cui il Vaticano valuta scelte che legittimamente attengono allo Stato (divorzio, aborto, testamento biologico, procreazione assistita, contraccezione, ecc.) e il comportamento pubblico e privato del nostro presidente del consiglio: da una parte minacce di ricorsi o addirittura di scomuniche, dall’altra un giudizio timido e misurato. Ma la Gelmini non è stata l’unica a intervenire contro la sentenza del Tar. Oltre ai partiti di maggioranza e, ovviamente, all’Udc, anche alcuni esponenti del PD fanno la loro parte: l’ex-ministro Fioroni ha spronato la ministra a promuovere il ricorso annunciato e la Binetti sostiene che non ammettere i docenti di religione agli scrutini sarebbe «massimamente scorretto». Si può dire, eufemisticamente, che sul tema dei diritti civili, in particolare, il PD non trova facilmente una sintesi. Mentre nel resto d’Europa la laicità dello Stato è un concetto su cui non è necessario tornare a discutere, ma è un dato ineludibile, in Italia esiste un’anomalia, una specie di “peccato originale”, un fraintendimento che consente alla Chiesa di intervenire continuamente nelle questioni politiche. Non è chiaro, infatti, che, per dirla con Carlo Augusto Viano , «la chiesa può chiedere che i suoi seguaci rispettino le sue indicazioni, rinunciando a libertà e diritti che uno stato liberale concede loro, ma, se i suoi seguaci, arrivati al potere, imponessero le prescrizioni della chiesa, violerebbero i diritti fondamentali dei cittadini, quelli che il laicismo dovrebbe difendere». E se il rispetto del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione è bieco illuminismo, benvenga il bieco laicismo. Patrizia Proietti Segreteria regionale PRC Condividi