di
Eugenio Pierucci
Torinese, Luciano Gallino ha iniziato la sua formazione sociologica presso la Olivetti di Ivrea per volontà di Adriano Olivetti. Oggi è considerato uno dei maggiori esperti italiani del rapporto tra le nuove tecnologie e la formazione. Dal 1968 dirige la rivista scientifica "Quaderni di Sociologia".
Si tratta, dunque, di un personaggio che ha titoli in abbondanza per intervenire in merito alla proposta di reintrodurre in Italia le "gabbie salariali" di famigerata memoria. Un progetto "squinternato", si lascia andare nel corso di un intervista rilasciata di recente all'Unità, una definizione forte che fa riferimento alla cosiddetta "Agenzia per il Sud" propagandata dal premier Berlusconi. Poi si spiega: l'architrave di questa trovata sta
"nel differenziare i salari fra il Nord e il Sud, oppure, usando il linguaggio edulcorato di questi giorni, parametrare le buste paga al costo della vita, è bene sottolineare che è un'idea che non sta in piedi da qualunque prospettiva venga considerata".
In primo luogo, prosegue,
"la nostra Costituzione spiega che ad un uguale lavoro dovrebbe corrispondere uguale compenso, il che, usando un eufemismo, mi sembra una cosa un po' diversa dalle gabbie salariali".
Ci sono poi le conseguenze economiche e sociali riguardo alle quali Gallino fa riferimento ad alcuni dati che anche noi ci siamo assai più modestamente riferiti nei giorni scorsi, che gli fanno dire quanto sarebbero "devastanti" queste misure.
Le pensioni, in primo luogo. Pagare meno le restribuzioni nel Mezzogiorno provocherebbe una catena di effetti negativi, considerato anche che l'ammontare degli assegni pensionistici si è fortemente impoverito, arrivando a scendere fino al 40% dell'ultimo salario corrisposto dopo le "micidiali" riforme che si sono succedute dagli anni Novanta.
Meno salari e meno pensioni insieme provocherebbero una ulteriore contrazione dei consumi in un territorio che sconta già un cospicuo arretramento rispetto al Nord, finendo per alimentare "
"una sorta di circolo perverso della diseguaglianza".
Tutto ciò quando paradossalmente
"Di fatto, a parità di impiego, gli stipendi al Sud dell'Italia sono già più bassi rispetto a quelli pagati al Nord, in media inferiori del 15% per quanto riguarda gli operai e del 22% per gli impiegati e quadri intermedi"... "Il tutto in un area del Paese dove, è sacrosanto ricordarlo, il Pil pro capite è già inferiore del 40% rispetto a quello prodotto nel Settentrione, 18.000 euro contro 30.000".
Tutto questo renderebbe inoltre ancora più difficile per i sindacati, che già sono divisi al riguardo, gestire il rinnovo dei contratti nazionali, rendendo
"ancor più frenetico un fenomeno drammatico: l'esodo di massa verso le zone più benestanti. Del resto i numeri parlano chiaro negli ultimi 10/11 anni sono partiti verso il Nord qualcosa come 700.000 persone, molte delle quali in possesso di laurea o diploma. Per le regioni del Mezzogiorno si tratta di una colossale perdita di capitale umano, ma anche di soldi e servizi, qualcosa come 70 miliardi di euro che hanno attraversato il Paese dal basso verso l'alto".
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