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L’Agenzia italiana per il farmaco ha approvato l’immissione in commercio nel nostro Paese della pillola che viene già utilizzata nella maggior parte dei paesi europei fin dagli anni Novanta e sperimentata in alcuni ospedali italiani dal 2005. La RU486 potrà essere utilizzata in Italia solo in ambito ospedaliero e potrà essere somministrata entro il quarantanovesimo giorno di gravidanza. In Italia il via libera alla RU486 arriva con vent’anni di ritardo rispetto a Francia, Svezia e Regno Unito. Il via libera dell’Aifa al farmaco innovativo, il cui utilizzo si colloca nel pieno rispetto della Legge 194, in questo paese sembra essere addirittura una conquista e non un atto dovuto. Ci troviamo in un contesto economico, politico e culturale che sempre con maggior violenza colpisce il corpo delle donne, le loro volontà, i loro desideri, la libertà per poi estendere l’attacco a tutte le differenze (il percorso che, dalla legge 40 e i conseguenti attacchi alla 194, ha portato al testo sul testamento biologico è stato davvero breve!). L’opportunità per le donne di scegliere la pillola anziché l’interruzione di gravidanza chirurgica ha suscitato pesanti reazioni da parte delle gerarchie cattoliche che parlano di “pillola assassina” e minacciano “scomuniche per il medico, per la donna e per tutti coloro che spingono al suo utilizzo”. Monsignor Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Academia pro Vita, ha invocato “un intervento da parte del governo e dei ministri competenti» contro l’uso della pillola abortiva RU486. Il governo si è prontamente fatto portavoce di queste indignazioni e il ministro Sacconi ha chiesto l'intervento dell’Agenzia italiana per il farmaco per “condizionare la somministrazione della pillola abortiva ad una serie di regole”. Sacconi, invocando a sproposito il rispetto della legge 194, parla già di un’ospedalizzazione di tre o quattro giorni e della necessità di un test psicologico obbligatorio per le donne per poter scegliere il metodo medico cui sottoporsi; un vero e proprio accanimento punitivo nei confronti delle donne. La legge 194 non prescrive affatto il ricovero, ma che l’intervento abortivo sia fatto in una delle strutture autorizzate, persino in poliambulatori pubblici funzionalmente collegati all’ospedale. Inoltre, all’articolo 15, prevede per gli enti ospedalieri di tener conto del progresso tecnologico e delle nuove tecniche meno intrusive e violente. In questo senso, la pillola RU486 offre un metodo di interruzione della gravidanza che oltre ad avere un impatto fisico e psicologico minore rispetto all’aspirazione, è meno costoso e più accessibile. Nel resto d’Europa circa il 30% degli aborti legali vengono praticati con la RU486 e non c’è stato alcun aumento del numero di aborti legato all’introduzione di questa pillola. In Italia, dove dall’introduzione della legge 194 il numero di aborti diminuisce progressivamente ogni anno (rimangono purtroppo sacche di aborti clandestini), si può prevedere un andamento analogo. Se si vuole davvero ridurre il ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza, la strada da promuovere è quella della contraccezione, di percorsi educativi volti alla conoscenza di sé, del proprio corpo e del rispetto dell’altra/o e delle differenze; del rilancio dei consultori, della diffusione gratuita delle pillole a basso dosaggio (ora totalmente a carico delle donne con i prezzi più alti d’Europa), la somministrazione alla donna che ne fa richiesta della Pillola del giorno dopo (Norlevo) al Pronto soccorso o in farmacia senza ricetta medica come avviene nella maggior parte dei paesi europei. Sotto il profilo politico, il contesto che abbiamo di fronte, grazie alle ingerenze del Vaticano e di forze politiche trasversalmente clericali e simbiotiche con i poteri forti, operano in direzione contraria, attraverso politiche sempre più aggressive di privatizzazione dei servizi, di precarizzazione del lavoro, attraverso interventi etici che vanno a incidere sui diritti riproduttivi della donna, riportandola alla sua dimensione “naturale” di donna e madre, quindi di soggetto controllabile; sul piano giuridico gli interventi della gerarchia ecclesiastica sono il segno dell’intolleranza prevaricatrice assunta dalle autorità cattoliche nei confronti dell'autonomia e della laicità dello Stato. Minacciare scomuniche e richiamare all’obiezione di coscienza i medici e i cittadini di fronte ad una norma dello Stato che tutela la salute delle donne non è solo anacronistico e contestualmente fuori dall'ordinamento legislativo di tutta Europa, ma un atto di disprezzo e di profonda ingerenza nei confronti di uno Stato autonomo e laico. E’ proprio in questo contesto che si stanno costruendo e ricostruendo reti di donne a Perugia come in molte altre città italiane, soggettività che agiscono nella materialità dei conflitti e che si riprendono lo spazio pubblico proponendo altri concetti e ordini del discorso. Ricordiamo in questo senso le iniziative che hanno messo in luce le percentuali bulgare di obiettori di coscienza nella nostra regione, la necessità di intraprendere il percorso enunciato già dallo scorso piano sanitario regionale riguardo l’utilizzo della RU486 e le azioni volte a contrastare il tentativo da parte di associazioni come il Movimento Per la Vita di entrare nei consultori pubblici del perugino. E il PD, che farà? Dovremo assistere ancora una volta ai suoi contorsionismi parlamentari? Ma, soprattutto, il governo umbro riuscirà a contrastare questa spinta restauratrice, mantenendo saldi i valori e i principi laici cui si è ispirato fin qui? Adelaide Coletti Resp. Nuovi Diritti - Federazione di Perugia PRC Coordinamento nazionale Forum Donne PRC Patrizia Proietti Resp. Conoscenza, laicità e nuovi diritti Segreteria regionale PRC Condividi