Dopo i razzisti della Lega Nord, anche Berlusconi nel suo primo giorno di ferie riprende la questione dell’instaurazione delle famigerate “gabbie salariali”. È proprio vero che la lotta di classe non va mai in vacanza.
Il tutto ha ripreso vigore in questi ultimi giorni dai dati resi noti da Bankitalia, da cui si evince che il divario del costo della vita tra Nord e Sud è pari al 16,5%.
È bastato questo dato puro e crudo per consentire allo statista Calderoli di ululare ai quattro venti sull’urgenza di ripristinare le “gabbie salariali”. Purtroppo, però, le gabbie salariali di fatto già sono in vigore. Basta leggere, infatti, l’ultimo annuario Istat, riferito al 2008, dove si dice che il reddito medio equivalente delle famiglie in tutte le regioni del mezzogiorno risulta inferiore al dato nazionale.
In Calabria è inferiore del 29,7%, in Basilicata del 29,6%, in Sicilia del 28,5%, in Puglia del 20%. Il reddito medio è di 30.500 euro al Nord e di 22.400 al Sud. Le differenze dei prezzi tra Nord e Sud sono reali, anche se poi si scopre che i prezzi di alimentari, abbigliamento e arredamento nel Mezzogiorno sono quasi equivalenti (3% in meno) a quelli del Nord e che addirittura la benzina, al Sud pieno di raffinerie, costa il 2% abbondante in più. La differenza sul costo della vita la fanno gli affitti.
Nel Mezzogiorno è tutto più basso, non solo i prezzi, ma anche i salari e gli stipendi reali, il tasso di attività, la dotazione di infrastrutture, il livello di scolarità, la struttura burocratica. Indubbiamente più alta è la presenza delle organizzazioni mafiose, il tasso di disoccupazione e quello di emigrazione.
Il Pil procapite è inferiore del 40% al Sud rispetto al Nord, sono 700 mila gli emigranti che negli ultimi 10 anni sono partiti dalle città del meridione per andare a lavorare al settentrione, rappresentando, secondo le stime, 70 miliardi di cpaitale esportato. Ed inoltre, il tasso di disoccupazione in Sicilia è del 13,8, in Campania e Calabria 12% contro il 6,7 della media nazionale e contro 2,5-3% di Emilia Romagna e Veneto. E l’occupazione femminile è sulla soglia del 30% in Sicilia, Calabria, Campani, mentre nelle regioni settentrionali è intorno al 60 e la media nazionale è al 47%.
Le difficoltà del mancato sviluppo del Mezzogiorno sono anche il frutto di una “non politica” centrale per il Sud, di un sistema degli enti locali vittima dei poteri locali clientelari, delle organizzazioni criminali che hanno gioco facile a causa di una presenza e di un tasso di efficienza assai basso delle varie articolazioni statali.
In sostanza, il Sud necessita, tra le altre priorità, di un salto tecnologica. Cioè, occorre una politica di segno opposto rispetto a quella annunciata da Berlusconi, ossia abbandonare il modello di bassi salari e bassi prezzi su cui si basa la competitività del meridione, cercando di sviluppare invece nuovi prodotti ad alta tecnologia.
In questo attacco al lavoro, alle sue condizioni, alla sua dignità, ora diviene centrale nella divisione sociale l’esasperazione delle differenziazioni territoriali; la guerra tra poveri, che è la vera politica della destra, non può nutrirsi solo di elementi razzisti (la guerra allo straniero), ma deve anche spezzare l’unità del lavoro tra Nord e Sud, così che allo stesso lavoro non corrisponda uno stesso salario o stipendio, minando ogni possibile e residuo elemento di uguaglianza.
Ma in che mondo vogliono trascinarci “l’utilizzatore finale” e i suoi alleati razzisti?
Anche l’Umbria, che con il suo 10-15% in meno del valore dei salari e degli stipendi del Centro-Nord si trova a cerniera tra le retribuzioni del settentrione e del meridione, verrebbe penalizzata con una ulteriore svalorizzazione del lavoro regionale.
Confindustria e le destre non sono soddisfatte dell’enorme ricchezza acquisita dai profitti e dalle rendite a scapito dei salari e delle pensioni in questi ultimi trent’anni di neoliberismo, vogliono di più.
Invece, la risposta è la costruzione di una politica alternativa al dominio dell’impresa e della rendita, lottando contro la precarietà del lavoro, diminuendo le tasse sul lavoro subordinato e aumentando salari, stipendi e pensioni, per dare forza alla domanda di consumi e sostenere la produzione.
Una domanda: la figura professionale della escort rientrerebbe nelle gabbie salariali?
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