Il Ministro leghista Calderoli, e con lui Lega e Pdl, ci sta provando ancora una volta: propone la reintroduzione delle “gabbie salariali”, vere e proprie. Motivo? Secondo il Ministro per la Semplificazione bisogna parametrare salari, stipendi e pensioni al reale costo della vita nelle diverse aree geografiche del Paese. Credo che il tentativo immediato da parte di Calderoli di spiegare meglio le proprie dichiarazioni, con rocambolesche capriole e precisazioni, sia del tutto inutile per un semplice fatto: la settimana scorsa i gruppi parlamentari Pdl di Camera e Senato hanno presentato un progetto di legge che, tra i suoi cardini, prevede, guarda caso, il ritorno alle “gabbie salariali”. Le stesse che, occorre ricordare, incidevano nel passato sui minimi contrattuali attraverso un meccanismo di riduzione automatica dei salari nelle zone centro-meridionali del Paese. Penso che l’unica cosa che Calderoli ha chiarito sia l’impostazione politica reazionaria, antipopolare e tutta contro i lavoratori che mostra ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, la vera natura e cultura della Lega. Ben altri sono i problemi che attraversano il Paese, come si evince dai recenti rapporti della Banca d’Italia, nei quali vengono indicati, come è noto, dati ed analisi che presentano un’Italia di seria A e una di serie B per servizi, infrastrutture, istruzione, possibilità di lavoro, costo della vita e, appunto, per salari.
La verità è che la condizione di "gabbie salariali" è purtroppo già esistente, di fatto, in Italia. E non è una novità, tra l’altro, che i lavoratori italiani sono i peggio pagati d’Europa. Come non è una novità che in Umbria e nella provincia di Perugia esiste una questione salariale specifica: salari, stipendi e pensioni sono inferiori di circa il 10-15% rispetto alla media nazionale. E, se fosse sfuggito a Calderoli e a i suoi seguaci umbri, inflazione e costo della vita sono aumentati anche in Umbria. Questa situazione, oltre ad essere causa di maggiori ingiustizie sociali e di impoverimento di larghe fasce della popolazione, rappresenta anche un elemento determinante rispetto al declino dell’economia, alla contrazione dei consumi e alla crisi, la stessa che Pdl e Lega stanno affrontando dando i soldi alle banche e tagliando risorse ai sevizi pubblici, a Comuni, Province e Regioni, attraverso un assetto federale dello stato egoista ed ingiusto.
Tutto questo mentre gran parte delle imprese ha continuato a fare profitto proprio grazie alla debolezza della dinamica salariale in tutto il Paese e, invece di puntare su sviluppo, tecnologia ed innovazione, ha spostato le risorse verso la rendita parassitaria di carattere finanziario e bancario che è alla base dell’attuale crisi mondiale del capitalismo liberista. Del resto, come è noto, con gli accordi del luglio 1992 la scala mobile venne smantellata e con gli accordi del 23 luglio 1993 venne ridisegnato il sistema contrattuale, inaugurando la stagione della concertazione e della politica dei redditi. Da allora è il contratto nazionale di categoria ad assolvere compiti di recupero dell’inflazione, mentre il contratto aziendale (dove si può fare, visto che soltanto il 15% delle aziende prevede una contrattazione di secondo livello !) definisce gli incrementi di produttività. Contratto nazionale sotto attacco e a rischio smantellamento grazie all’infausto accordo separato sul rinnovo del modello contrattuale del 22 febbraio 2009. Del resto l’idea di ridurre il peso del contratto nazionale, per avere più spazio per la contrattazione, non è nuova. La stessa argomentazione fu usata anche per sostenere la necessità di ridurre il peso della scala mobile. Se la dovrebbe ricordare bene Brunetta, degno collega di Calderoli, quando appoggiò Craxi in quest’operazione. Ora, come già detto, la scala mobile è stata abolita, ma la contrattazione sul salario è andata sempre peggio e per i soliti noti: lavoratori e pensionati sui quali si scarica il peso della pressione fiscale. E quale risultato è stato ottenuto? Questo: negli ultimi quindici anni salari, stipendi e pensioni sono diminuiti a vantaggio dei redditi da capitale, insieme al dilagare di forme di lavoro precario che escludono migliaia di persone da qualsiasi ammortizzatore sociale grazie alla Legge 30. A questo hanno portato le politiche liberiste del Pdl e della Lega. Rifondazione comunista continua invece a sostenere che per bloccare la caduta del salario e procedere verso una equa distribuzione del reddito occorra la reintroduzione di un nuovo meccanismo di indicizzazione di salari, stipendi e pensioni all’inflazione: una “nuova scala mobile”. Questo per impedire che il salario di un lavoratore possa essere tagliato in modo permanente dalla sua “collocazione geografica”, dai continui rinvii dei rinnovi contrattuali e dall’aumento dei prezzi. È necessario inoltre, come abbiamo proposto in Consiglio regionale, l’introduzione di un reddito sociale come misura anticrisi per un sostegno al reddito dei disoccupati e di allargamento delle tutele per lavoratori precari ed atipici. Altro che “gabbie salariali”!
Recent comments
11 years 40 weeks ago
11 years 40 weeks ago
11 years 41 weeks ago
11 years 42 weeks ago