“Emanazione di normative locali ad hoc”, “Accertate connivenze della pubblica amministrazione che ha anche prodotto atti particolarmente favorevoli a commettere gli illeciti”, “blanda ed insufficiente disciplina”. Sono alcuni passaggi chiave dell’ordinanza di custodia cautelare che si riferiscono alla Delibera della giunta regionale dell’Umbria numero 456 del 28 aprile 2008. E sulla quale, come si è visto, il giudizio del pm è alquanto severo. In sostanza, vista la scaltrezza dimostrata dal sodalizio che, secondo il pm, era guidato dall’imprenditore Rinaldo Polinori, quella delibera era un assist a porta vuota servito sui piedi della Codep. Ma cosa si dice esattamente nella delibera 456/08?
Pubblicata nel numero del 28 maggio 2008 del Bollettino ufficiale della Regione Umbria, stabilisce che “negli impianti aziendali, interaziendali, consortili, pubblici, che trattano reflui zootecnici con produzione di biogas” possono essere conferiti “gli effluenti di allevamento, le acque di vegetazione e le sanse umide da reflui oleari e le acque reflue e il sangue di categoria 3 proveniente dai mattatoi ubicati in ambito regionale”. Questo è quanto si dice al punto 2. Le cose più interessanti poi arrivano ai punti 4 e 5, dove sostanzialmente si dice che i rifiuti non sono rifiuti. Al punto 4 si specifica che lo “stoccaggio, il trasporto ed il trattamento degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione e sanse umide, nonché delle acque reflue disciplinate dalla Deliberazione di giunta 1492 del 6 settembre 2006, destinati al trattamento presso gli impianti di cui al punto 2, non sono soggetti alle disposizioni di cui alla parte IV del decreto legislativo 152/2006”.
Traduzione: tutto ciò che finiva negli impianti suddetti viene con questa delibera sottratto alle disposizioni in materia di trattamento dei rifiuti contenute nella quarta parte del decreto legislativo 152 del 2006, ossia quella attenente “la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati”. Al punto 5 della Delibera in questione, si specifica poi che “l’utilizzazione agronomica delle frazioni solide e liquide di risulta del processo di trattamento è esclusa dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti e dovrà essere effettuata nel rispetto della deliberazione di Giunta regionale n. 2052 del 7 dicembre 2005 e delle deliberazione di Giunta regionale n. 1492 del 6 settembre 2006”. Quest’ultima in particolare, come accennato in precedenza, viene definita dal pm “blanda ed insufficiente disciplina”. Tutto ciò, prosegue il pm, è “molto meno rischioso degli obblighi e sanzioni previste nelle altre discipline più restrittive per le irregolarità commesse”.
La delibera 456, che prende atto del “parere di regolarità tecnica e amministrativa reso dal responsabile del procedimento, del parere favorevole sotto il profilo della legittimità espresso dal dirigente competente” e di quello, sempre favorevole, “del direttore in merito alla coerenza dell’atto proposto con gli indirizzi e gli obiettivi assegnati alla Direzione stessa, è un’interpretazione delle norme, anche se non espressamente citata, che viene demolita sul numero di oggi del “Mesaggero” dal magistrato Maurizio Santoloci. “Con peripezie acrobatiche – scrive il magistrato – a cavallo tra la parte terza e la parte quarta del decreto legislativo 152/06 (parti che disciplinano rispettivamente – in modo ben diverso ed opposto – gli scarichi di acque reflue e i rifiuti solidi), si prendono – secondo convenienza – ora i concetti di una parte ora dell’altra e si predispone un concentrato misto di principi con un risultato sorprendente: i liquami zootecnici non sono nulla sotto il profilo giuridico, al pari dell’acqua fresca di fonte”.
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