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La vicenda che ha visto declassare l’Università degli Studi di Perugia fra gli atenei non virtuosi ci lascia perplessi. La volontà del ministro Gelmini e del governo Berlusconi è chiara: privatizzare l’Università, concentrando i fondi la dove le aziende sono interessate a investire, trasformando le risorse in ulteriori aiuti alle aziende. L’ateneo perugino, nonostante molte contraddizioni e scelte che negli anni si sono dimostrate sbagliate, dal decentramento alla ridistribuzione dei fondi per la ricerca, fino all’annosa querelle del costante aumento delle tasse, mantiene comunque livelli di eccellenza per servizi e qualità del corpo docente. Urge in questo quadro un nuovo patto tra istituzioni locali, regione e università che metta al centro la formazione come primario interesse per lo sviluppo sociale ed economico di tutta la regione. Ricerca e formazione devono essere finalmente i cardini su cui puntare: si dunque a poli scientifici moderni ma contemporaneamente rivedere la logica che ha purtroppo trasformato alcune facoltà in semplici “esamifici”. È l’occasione, questa, per tornare a parlare di una nuova idea di università, lontana anni luce dalle riforme degli ultimi venti anni, nella quale studenti, formazione e ricerca tornino a essere i protagonisti centrali. Questo è forse l’unico modo per non lasciare l’Università degli Studi in balia del governo Berlusconi. Condividi