«Per lanciare una provocazione, credo che già alle regionali ci vorrebbe un segnale di evoluzione del simbolo della federazione che sia più inclusivo di quello da cui siamo partiti sabato scorso». Secondo Raffaele K. Salinari, medico e docente da anni in prima fila nel campo della cooperazione internazionale, è questione di elaborare qualcosa «non di totalmente nuovo, ma che rappresenti quel processo evolutivo» che dovrebbe caratterizzare la federazione. Dal momento che, «fermo restando il fatto che l'identità non può evolvere se non è riconosciuto un punto di partenza - osserva Salinari -, come dice però un vecchio proverbio arabo: non è dalle radici che si riconosce l'albero, ma dai frutti».
La questione dell'identità a sinistra è proprio quella che appassiona ma insieme divide di più. Come fare in modo che il richiamo all'orgoglio insieme all'applauso non faccia scattare anche la chiusura?
Ritengo che il tema dell'identità sia centrale, però va visto e utilizzato come elemento di una prospettiva diversa. L'identità è un nodo che deve tessere una trama più larga rispetto al punto di partenza. L'identità di un soggetto federato non può essere una sommatoria, dev'essere un incrocio, che trasforma le stesse identità di partenza, facendosene carico, assumendone la potenzialità evolutiva. Creando quindi un volto riconoscibile ma nuovo. La questione non è fare richiami all'orgoglio per cercare l'applauso, ma dimostrare la forza dell'identità proprio rimettendosi in gioco, a disposizione di un processo di trasformazione e di contaminazione reciproca. Voglio fare un esempio letterario. Il dottor Jekill diventa mister Hide perché nella sua formula c'è una singola impurità che rende possibile la trasformazione. Lui è sia l'uno che l'altro, ma si realizza chiarezza reciproca tra le due personalità grazie a quella singola impurità. Solo la contaminazione riesce a far evolvere positivamente un'identità. Un'identità pura che non si vuole contaminare è inutile e inutilizzabile.
Tuttavia il ritorno alle identità tradizionali è stata la via privilegia dalle sinistre di fronte alle proprie sconfitte…
Non vorrei che diventasse esattamente una via di scampo: il riflesso del riccio, che si chiude e le macchine ci passano sopra schiacciandolo. Non vorrei, cioè, che elementi così importanti da aver determinato la storia del movimento operaio e delle lotte per l'emancipazione contro lo sfruttamento si chiudano a riccio e vengano schiacciati dal corso della storia. Le identità vanno riaperte e gettate come semi in altro terreno, che è appunto quello della federazione. Allora produrranno idee forti. Ma io per ora non ho visto chiusura identitaria. Anzi ho visto anche un certo coraggio. Diliberto ha esortato addirittura a essere iconoclasti nei confronti dei simboli classici. Questo vuol dire prendere i simboli e salvarne l'essenza, ma modificandone anche la forma. E la forma è la federazione.
Intanto, però, sembra impossibile realizzare una formula capace di comprendere tutta la sinistra, dove per ogni proposta ne nasce quasi sempre un'altra uguale e contraria. Significa che in realtà persistono pregiudizi identitari oppure che prevalgono idiosincrasie personali?
Credo che a sinistra esista un vero problema di idiosincrasie personali e di poca onestà rispetto ai progetti che si dichiara di voler sostenere. Molti pensano a collocarsi personalmente a rilanciarsi attraverso nuovo veicoli. E' il problema dei ceti politici.
Tutti?
Molti. Ma se guardiamo fuori dal recinto dei ceti politici troviamo un mondo sterminato di ragazze e ragazzi che condividono ideali, indirizzi culturali, temi sociali, elementi di uguaglianza di genere e di un nuovo modello di sviluppo. Dobbiamo essere in grado di parlare in questi termini per rilanciare un progetto nuovo. Non ci voglio solo contenitori nuovi, ma anche la rielaborazione dei contenuti in modo che possano essere assimilati da chi è pronto a ascoltarli e rilanciarli. Io misurerò il successo o meno della federazione proprio dalla capacità di parlare nuovi linguaggi. La sinistra si divide quando parla di se a se stessa con linguaggi che non fanno risuonare più niente nelle sensibilità contemporanee. Ecco perché insisto sul tema della contaminazione delle identità. La sinistra si scinde su basi identitarie, vecchie e autoreferenziali; perché il suo stesso linguaggio è intriso di scissionismo. Il linguaggio che viene dal femminismo, dall'ecologismo, dai movimenti non solo è nuovo, ma finora non è gravato dal peso delle scissioni che vengono dalla politica. Ecco perché bisogna parlare nuovi linguaggi.
Ma fino a che punto una federazione dove i partiti hanno un ruolo promotore e preminente può consentire di recuperare quel gap tra politica e società e tra la sinistra e la propria gente?
Intanto la forma federale è sicuramente più aperta, partecipativa, dal basso. Non ci dimentichiamo che, praticamente, tutti quei presidenti dell'America latina che evochiamo così spesso e volentieri non sono stati portati al potere da partiti classici, ma da veri e propri movimenti sociali. Questo ci deve far capire qualcosa, è un punto di ispirazione: perché con la partecipazione, l'ascolto, l'inclusione sono stati creati movimenti poderosi e si sono azzerate le divisioni provocate dai giochi di potere di partito. Abbiamo bisogno di rientrare nell'acqua che oggi sarebbe il terreno di coltura delle radici di questa federazione. Se vogliamo parlare del conflitto sociale dobbiamo essere il conflitto, non possiamo parlarne e basta. Oggi non si può interpretare politicamente se non ciò che si è. Ecco perché secondo me non ci saranno subordinate se questa federazione non riesce a realizzarsi nel modo in cui intende farlo, cioè come insieme di differenze.
E con quale prospettiva di progetto o di programma?
Il socialismo del XXI secolo non è quello del XX. E proprio in America latina abbiamo la prova che partendo da quello del XX si può arrivare a quello del XXI attraverso un cambiamento di rotta radicale: non più un partito guida, non più burocrazie, crescita dei movimenti sociali, non solo l'industria e gli operai ma la salvaguardia delle produzioni artigiane…Si capisce bene come, partendo dagli stessi valori, si possa evolvere fino a parlare e intendere il linguaggio della liberazione di questo secolo e non di quello passato.
Questo non riguarda solo i contenuti, ma anche le forme della politica e dei processi democratici?
A tal riguardo la mia risposta è di non partire dalle forme organizzative ma dagli obiettivi, cercando le forme che meglio rispondano ai problemi. Questo è anche quel che mi tiene radicalmente lontano da una visione leninista. Mezzi e fini sono la stessa cosa. Serve chiarezza su quel che si vuol fare, sui conflitti che si vuol essere. E serve costruire una pluralità di mezzi rispetto a quegli obiettivi. Se qualcuno dovesse pensare di ammantare con qualche formula l'idea di un nuovo apparato più o meno centrale che alla fine prende le decisioni mentre tu devi andare a giocare con la palla in cortile, allora questo soggetto non durerà nemmeno fino alle prossime regionali. Se invece si riparte dagli obiettivi e su quella base si ricostruiscono anche gli strumenti, allora diamo idea di un percorso costituente che nello stesso momento tiene insieme i mezzi e i fini. Questa è anche la caratteristica dei movimenti dell'America latina, dove lo stesso fare movimento e la ricostruzione di uno spazio pubblico rappresentano la forma organizzativa più importunate che ci si possa dare.
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