università.jpg
di Eugenio Pierucci La gravità della cosiddetta "bocciatura" dell'Ateneo perugino scaturita dalle pagelle attribuite dal ministro Gelmini non è tanto grave dal punto di vista dei fondi che verrannoa mancare (in fondo si tratta solo di un modesto 0,56%), quanto per il danno di indagine che è venuto ad una delle più antiche università italiane e del mondo che appena lo scorso anno aveva celebrato i suoi primi 700 anni di vita e che grazie a questa antica tradizione è riuscita sino ad oggi ad attrarre studenti anche da regioni assai lontane, oltre che dall'estero. Il 29esimo posto assegnatogli per quanto riguarda la ricerca e la qualità didattica, sulle 54 sedi universitarie considerate, la vedono scavalcata non solo da atenei che vantano uguali illustri tradizioni, ma anche da nuovi centri di studio di recente costituzione che, a quanto pare, e stando almeno ai parametri presi in considerazione, avrebbero in brevissimo tempo più che colmato il loro iniziale gap culturale. Che succederà ore? La domanda è lecità anche per le implicazioni di varia natura che questo fatto determinerà. Non si può sottacere il fatto che all'Ateneo perugino sono legati forti interessi anche di natura economica e non solo per Perugia, la città ove ha la sua sede, vista la ramificazione su tutto il territorio regionale che hanno avuto nel corso degli ultimi decenni le sue attività. Questo colpo che le è stato inferto di quanto diminuirà il suo potere di attrazione? C'è da temerlo tanto più che forse proprio per far fronte alle previste difficoltà economiche, si è intanto provveduto ad aumentare sensibilmente l'importo delle tasse universitarie diminuendo perciò la concorrenzialità del nostro ateneo anche da questo punto di vista. Ma, ci si potrà obiettare, ricorrendo ad un antico adagio popolare, "chi ha colpa del suo mal pianga se stesso". Nel senso che se veramente i demeriti riscontrati sono reali, allora ci dovremmo battere il petto e dichiararci colpevoli per non averne previste le conseguenze. Ma le cose stanno proprio così? Lasciateci dire che al riguardo, anche se non sono da escludere del tutto colpe locali, qualche dubbio è comunque legittimo e vediamo perché. Innanzitutto ci rifacciamo a quanto ha osservato giustamente un personaggio assai più autorevole di noi qual è il rettore de La Sapienza di Roma, un ateneo prestigiosissimo che ha subito una bocciatora assai più pesante di quella dell'Università di Perugia, 42esima posizione che gli procurerà un taglio di risorse del 2,11%, pari a non pochi milioni di euro in meno. L'aver assegnato una parte dei fondi sulla base edella qualità didattica, della ricerca e delle sedi periferiche è giusta - ha detto il prof. Luigi Frati - ma si è fatto l'errore di fare ciò con i vecchi comitati di valutazione e, soprattutto, con dati vecchi che risalgono al 2003-2004. La seconda considerazione la svolgiamo direttamente noi. La Lega Nord nella sua guerra al riconoscimento legale del titolo di studio ha sostenuto fra l'altro che questa legalizzazione rappresenterebbe una sorta di "falsa concorrenza" che gli atenei del nord subirebbero da parte di quelli del centro-sud che si sarebbero trasformati in una sorta di "laureifici". Secondo Bossi, dunque, in certe aree del nostro Paese sarebbe assai più facile ottenere una laurea che aL nord, ma poi apprendiamo che uno dei parametri che più hanno fatto la differenza in queste pagelle è stato proprio la quantità dei laureati sfornati dalle singole università, nel senso che sono state premiate quelle che hanno concesso un maggior numero di "titoli legali": in altre parole quelle dove è più facile essere promossi e perciò è più ridotta anche la percentuale degli studenti fuori corso e, guarda la combinazione, questo importante parametro ha premiato più gli i "laureifici" del nord rispetto a quelli del centro-sud, compresi i tanto decantati Politecnici. Condividi