cesare salvi.jpg
1. - Nel documento con il quale è stata convocata l’assemblea di oggi viene indicato il compito di “costruire una efficace opposizione sociale, politica e culturale, in grado di proporre e rendere credibile una uscita da sinistra dalla crisi”. Siamo in effetti di fronte a un drammatico passaggio di fase, che da molti è stato paragonato a quello che si aprì nel ‘29. Nel mondo globalizzato, la crisi coinvolge l’intero pianeta. Aumentano i poveri, il saccheggio dell’ambiente mette a rischio la sopravvivenza stessa del pianeta, la crisi alimentare condanna alla fame oltre un miliardo di esseri umani, per i quali è sempre più difficile disporre persino dell’acqua potabile. E la crisi investe anche, e con caratteristiche comuni, tutto l’Occidente. Quello che è stato chiamato movimento no-global, dunque, aveva ragione. Non è questa naturalmente la sede per una analisi compiuta. Credo però che vadano sottolineati due dati. Il primo è che la crisi finanziaria è la conseguenza del modello di capitalismo che ha dominato negli ultimi decenni: non è quindi solo crisi finanziaria, ma crisi strutturale. Il secondo dato da sottolineare è che se non si costruisce una alternativa di sistema, la crisi determinerà un ulteriore aggravamento del degrado sociale e ambientale, della qualità della democrazia, dell’etica pubblica, cioè della devastazione prodotta da tre decenni di egemonia del capitalismo neoliberista. 2. - Degrado sociale, anzitutto. Nell’ultimo trentennio si è imposto un modello economico e sociale che, sulla base dell’ideologia del mercato - qualcuno ha detto: l’unica ideologia sopravvissuta alla “fine della storia” -, ha aggravato le diseguaglianze di reddito a livello planetario e all’interno dei singoli Paesi, ha intaccato la sostanza stessa della democrazia a favore del potere di oligarchie economico-finanziarie e politiche, ha rimosso le fondamenta dell’etica pubblica e dei valori sociali comuni a favore di una visione individualistica. Una visione per la quale il successo in termini di ricchezza personale e di potere diviene l’unico metro di valutazione di ciò che è lecito e di ciò che è giusto. E quel modello lo si è voluto imporre con ogni mezzo, compresa la guerra. Col pretesto di una missione umanitaria, l’Italia è impegnata in Afghanistan in una vera e propria guerra, contro l’art. 11 della Costituzione; una guerra che non combatte ma rischia anzi di alimentare il terrorismo fondamentalista. Per questo è giusto accompagnare alla solidarietà alla famiglia del soldato ucciso e ai militari italiani la richiesta che il nostro contingente sia ritirato dall’Afghanistan perché si possa avviare una vera iniziativa di pace. Il berlusconismo rappresenta la variante italiana, certo particolarmente deteriore, di processi che coinvolgono l’intero Occidente. Gravi sono le responsabilità, particolarmente in Italia ma non solo in Italia, della sinistra moderata, che ha aderito “quasi plasticamente ai caratteri del capitalismo contemporaneo, abbandonando la pretesa di trasformarli”, come ha scritto Giuseppe Berta nel suo recente saggio sulla “Eclisse della socialdemocrazia”. Come meravigliarsi se di fronte alla crisi in quasi tutti i Paesi europei la sinistra moderata viene abbandonata dai suoi elettori? Né si intravede, in chi ha governato finora e continua a governare, il segno di un cambiamento di rotta. L’ottimismo di Berlusconi , che sarebbe patetico se non fosse inquietante, e la sostanziale inerzia di Tremonti, sono la versione italiana di quello che appare oggi l’orientamento di fatto prevalente: cambiare qualcosa, forse, ma per continuare secondo le vecchie logiche. Si è giustamente detto che il recente vertice del G8 non ha sostanzialmente deciso nulla. Un giudizio persuasivo mi sembra quello formulato su Repubblica da Marcello De Cecco: “I leader riuniti nel vertice danno l’impressione chiara di considerare il modello finora seguito valido e da mantenere, anche se è necessario sottoporlo a modifiche e riforme”, e aggiunge, parlando dell’enciclica papale, che essa “contesta in maniera assai più radicale il modello di sviluppo che il capitalismo mondiale ha adottato da qualche decennio”. Quello che sta accadendo è che i governi, come ha scritto Massimo Salvadori, “per contenere gli effetti della crisi stanno addossando, nell’intento di salvare banche e industrie, tremendi carichi su quei ceti medi e popolari che negli ultimi decenni i potentati economici avevano, mentre essi si arricchivano sempre più, gravemente impoverito e privato di fondamentali diritti sociali”. Mentre i grandi della Terra e le first-ladies si esibivano in foto di gruppo e in spettacoli vari, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale venivano indicazioni molto chiare. La ripresa, se ci sarà, sarà nel 2010; la ripresa, in ogni caso, non riguarderà l’occupazione, che anzi continuerà a decrescere ancora per almeno un altro anno dopo l’ipotizzato ritorno della crescita del Pil. Questo vuol dire che ai 15 milioni di nuovi disoccupati che nei soli 30 Paesi dell’Ocse ci sono stati da ottobre ad oggi, se ne aggiungeranno almeno altrettanti nei prossimi 12-18 mesi. L’irresponsabilità del Governo italiano non può mascherare che questa dura realtà ha già colpito, a partire dai più deboli: come i lavoratori a tempo, per la maggioranza dei quali il mancato rinnovo del contratto non appare neppure, non appare nelle statistiche e non vale per gli ammortizzatori sociali. L’irresponsabilità del governo non può mascherare che a settembre la crisi si aggraverà e la disoccupazione è purtroppo destinata ad aumentare. Termini Imerese, Pomigliano, le migliaia di piccole imprese che hanno già annunciato di non riaprire a settembre, sono segnali drammatici di quello che ci attende, nell’inerzia del Governo e nel balbettio dell’opposizione parlamentare. Nel frattempo il vecchio sistema non ha neppure il pudore di rinunciare almeno per qualche tempo ai vecchi metodi. Il truffatore Madoff è stato condannato a 150 anni di carcere, ma intanto le banche d’affari americane annunciano il massimo dei profitti frutto del salvataggio governativo e distribuiscono bonus miliardari. “Mentre i grandi del G8 sono all’Aquila - scrive Federico Rampini sulla Repubblica - gli squali del mercato sono di ritorno: Goldman Sachs eroga bonus per 20 miliardi, il doppio dell’anno scorso; Morgan Stanley per 14 miliardi. Intanto lo Stato della California è sull’orlo della bancarotta”. Degrado del pubblico, arricchimento degli speculatori nel centro del capitalismo mondiale. Si preannuncia l’exit strategy sussurrata nei palazzi del potere: disoccupazione strutturale, ulteriore frammentazione del mondo del lavoro, e sullo sfondo l’inflazione, per far pagare ai lavoratori a reddito fisso, ai pensionati e ai piccoli risparmiatori l’enorme crescita del debito pubblico, dovuta alle ingenti somme messe disposizione del capitale finanziario e industriale. 3. - Concausa e conseguenza insieme del degrado sociale è il degrado della democrazia. Anche questo è un fenomeno non solo italiano, è un processo in atto da decenni, è il portato del capitalismo neoliberista, della globalizzazione senza regole, del progressivo smantellamento della sovranità nazionale degli Stati. Per definire questa situazione il politologo inglese Colin Crouch ha parlato di “post-democrazia”; Massimo Salvadori, nel suo recente saggio sulle “Democrazie senza democrazia”, parla di “governi a legittimazione popolare passiva”. Non solo in Italia, dunque, le decisioni che influiscono in maniera determinante sulla vita collettiva sono sottratte alle istituzioni democratiche. Decidono le oligarchie economico-finanziarie che dominano l’economia globalizzata e le oligarchie politiche che in nome del popolo operano incessantemente per mobilitare e manovrare quest’ultimo secondo i loro intenti. Queste oligarchie di potere, nelle quali il dominio economico finanziario e il dominio politico si mescolano e convergono, è bene esemplificata dalle vicende di Schroeder e di Blair, i quali, terminati i loro incarichi di governo, hanno assunto senza battere ciglio consulenze miliardarie per quelle grandi concentrazioni di potere economico e finanziario che fino al giorno prima avrebbero dovuto controllare e regolare. Il berlusconismo è la forma che questo processo di degenerazione oligarchica della democrazia assume in Italia, accentuandone gli aspetti negativi nello svuotamento del ruolo del parlamento e nell’attacco all’autonomia del potere giudiziario. Al tempo stesso si ripropongono vecchie ideologie reazionarie. Nel suo libro dello scorso anno Giulio Tremonti propone esplicitamente la triade “Dio, Patria, famiglia” come punto di riferimento ideale della nuova destra. Una formula che si traduce concretamente nel rifiuto della laicità dello Stato, nelle peggiori forme di razzismo e di maschilismo, nella riproposizione di un modello patriarcale ostile alla libertà e ai diritti delle donne. Ma bisogna pur dire che gravi sono le responsabilità delle attuali forze di opposizione parlamentare per avere assecondato e anzi teorizzato e promosso lo svuotamento progressivo della democrazia. Il presidenzialismo di fatto, la filosofia del bipartitismo e del capo del governo padrone assoluto della maggioranza e del parlamento, il partito leaderista, imperniato sul rapporto tra il capo e le masse, il mito delle primarie (di cui oggi il Pd subisce i contraccolpi) hanno prodotto soluzioni cesariste e hanno demolito, pur senza modificare le norme scritte, gli equilibri costituzionali sapientemente delineati nella nostra Carta fondamentale. Il potere carismatico di Berlusconi ha colto dall’albero i frutti maturi. Chiediamo al Pd di riesaminare criticamente il percorso iniziato negli anni Novanta. La battaglia culturale e politica contro il bipolarismo coatto, vero e proprio nuovo regime e strumento delle oligarchie, non è la richiesta di un ceto politico rimasto fuori. E’ una battaglia da condurre in nome dei milioni di cittadini oggi senza rappresentanza, e degli altri milioni che si rifiutano di partecipare alla vita politica e alle stesse elezioni nell’amara convinzione che tanto, comunque, non conteranno nulla, perché chiunque vinca nulla cambierà davvero. 4. - Di questa battaglia per la democrazia componente essenziale è la riforma della politica. La questione morale oggi aperta in Italia è una grande questione di democrazia, come aveva capito Enrico Berlinguer. Altro che riabilitazione di Craxi nella quale si esercita oggi, dopo Fassino, Walter Veltroni! L’intreccio affari-politica, le connivenze o tolleranze verso la criminalità organizzata, il ritorno in grande stile della corruzione e delle tangenti, concorrono al degrado della democrazia e richiedono un’aperta e convinta battaglia politica, in particolare, anche se non solo, nel Mezzogiorno. A questo proposito mi permetto di esprimere viva preoccupazione per la mancanza di chiarezza su quanto è accaduto e sta accadendo in Puglia. Una giunta è stata azzerata e poi ricostituita in nome della questione morale, ma senza che si sia detto in che cosa questa questione morale concretamente consista. Qualcuno ha espresso apprezzamento per l’abile operazione politica del governatore Vendola: chiusura ai comunisti (non a caso il segretario del Pd pugliese Emiliano ha detto di recente: “Per recuperare i voti moderati la ricetta è l’anticomunismo”), apertura all’Udc e alla Poli Bortone. A proposito, chi è stato comunista fino a sei mesi fa, non ha niente da dire a Emiliano? Ma il punto ancora più importante è che una regione del Sud, che sembrava estranea al sistema di potere e al modo di fare politica prevalente nelle altre, appare invece anch’essa impigliata nella rete della questione morale e dell’inquinamento affaristico della politica. Più chiarezza e più coraggio, compagno Vendola! Il Mezzogiorno non può essere abbandonato a se stesso: la questione meridionale deve tornare a essere una grande questione nazionale. E’ questo che serve, non improbabili partiti del Sud. Mentre si parla di etica dell’impresa il gruppo Marcegaglia è coinvolto in qualcosa di non molto etico: il presidente del gruppo ha già patteggiato undici mesi di pena per tangenti alla società Euripower e il gruppo è ora sotto inchiesta per 17 conti aperti in paradisi fiscali con depositati oltre 400 milioni di euro. Nel frattempo il governo decide nuovi regali agli evasori fiscali, in un Paese nel quale l’evasione è spudorata, se è vero che solo lo 0,2% dichiara più di 200mila euro. E ora un nuovo condono: è davvero una vergogna! La questione morale è Berlusconi, ma non è solo Berlusconi. Riguarda la politica, ma non solo la politica. La riforma della politica, lo smantellamento del sistema della casta, il recupero dell’autonomia e del potere di controllo delle assemblee elettive a tutti i livelli, sono elementi essenziali di una moderna battaglia democratica. E la riforma della politica, naturalmente, non può non partire da noi stessi, dalle regole che ci diamo, da un modo rinnovato di praticare la politica, come diciamo nella parte finale del nostro documento. 5. - Di fronte a una crisi così grave, così complessa, così profonda, serve la sinistra. Ma quale sinistra? E’ una parola di cui si è abusato, e che da sola rischia di essere priva di fascino e di attrattiva. Prima di affrontare questo punto vorrei però dire che il quadro che ho delineato, che temo sia realistico, non deve farci ritenere che siamo in una situazione senza speranza. Alle elezioni europee due milioni di italiani hanno votato per le due liste di sinistra, e se vi fosse stata l’unità necessaria, già oggi il quadro politico italiano sarebbe un po’ meno cupo. E nel mondo della globalizzazione bisogna guardare oltre i confini nazionali. Alla sconfitta della sinistra moderata, nella maggior parte dei Paesi europei si è accompagnata la crescita di una sinistra a sinistra delle socialdemocrazie. Sono soggetti politici tra loro diversi, in base alle diverse storie nazionali, ma accomunati da piattaforme di alternativa al sistema dominante: i comunisti e i loro alleati in Francia, Grecia, Portogallo, altre originali formazioni politiche - come Die Linke tedesca - in altri paesi. Il rapporto con tutte le forze politiche di alternativa è per noi molto importante, perché cambiare l’Europa è decisivo per la nostra battaglia. Una battaglia non contro l’Europa ma per un’altra Europa, democratica e sociale. Segnalo l’importanza della recente sentenza della Corte costituzionale tedesca, la quale, sulla base anche di un ricorso presentato da Die Linke, ha affermato la sovranità del Parlamento nazionale e dei principi costituzionali rispetto alle decisioni di istituzioni europee prive di legittimazione popolare, che troppo spesso affermano la prevalenza della libertà di mercato sui diritti sociali e sulle tutele del lavoro. Un intero continente, l’America Latina, ha espresso in questi anni - anche qui con modalità e caratteristiche diverse nei diversi Paesi - una straordinaria volontà e capacità di cambiamento. Come si vede il cambiamento è possibile e noi dobbiamo saper recuperare l’impegno internazionalista che è stato un tratto forte e caratterizzante della sinistra italiana. L’elezione di Barack Obama, a sua volta, è un fatto importante che merita attenzione e segna la sconfitta dell’unilateralismo militaresco, arrogante e imperialista dell’amministrazione Bush. Ha scritto Serge Halini: “Questo presidente rappresenta senza alcun dubbio quanto di più progressista il sistema americano possa produrre al momento attuale”. E ha aggiunto, “i primi passi di Barack Obama fanno pensare che non abbia ancora completamente dimenticato il suo passato progressista nei quartieri poveri di Chicago”. 6. - E’ a partire da questa situazione che è doveroso, ma anche possibile, costruire un soggetto politico che lavori perché sia possibile uscire a sinistra dalla crisi. Nel documento sono indicati quattro punti, da approfondire e discutere insieme, dai quali partire per questo compito impegnativo. Se dovessi riassumerne la sostanza lo farei con due espressioni: centralità del lavoro; autonomia e unità della sinistra. Centralità del lavoro. Come ha detto Jean-Paul Fitoussi, l’odierna crisi del capitalismo non nasce dai mutui fasulli, “la crisi nasce dalle eccessive diseguaglianze di reddito ed è da lì che bisogna partire”. Ma da lì non si vuole partire, perché significherebbe mettere in discussione la logica dell’accumulazione privata basata sul profitto a carico del lavoro. La crisi conferma che il rapporto tra capitale e lavoro, tra chi controlla la proprietà dei mezzi di produzione e chi non ha questo potere, rimane la contraddizione fondamentale. E’ a partire da questo conflitto e nel momento in cui le masse si riappropriano del diritto di decidere del loro destino, che è possibile costruire i profondi cambiamenti necessari. Centralità del lavoro vuol dire un altro modello economico, un’altra idea dello sviluppo. Un’economia sostenibile, l’ambiente, le risorse naturali, l’acqua, come beni comuni sottratti al mercato. I diritti sociali come diritti di cittadinanza e i diritti civili come diritti universali, oltre i confini dei singoli Stati, l’opposto della xenofobia e del razzismo che caratterizzano l’ignobile legge approvata dal Parlamento e ora anche dal Capo dello Stato. Una legge che è un’autentica vergogna per l’Italia. La valorizzazione piena del pensiero e della pratica femminile, contro il risorgente patriarcato e la vergognosa riproposizione del corpo della donna come oggetto del potere maschile. Il diritto alle scelte sessuali, compreso il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Politiche per la piena e buona occupazione che riunifichino intorno al diritto al lavoro disoccupati, precari, lavoratrici e lavoratori dipendenti, piccoli imprenditori. Politiche pubbliche che non siano legate al profitto e che si prefiggano anche la redistribuzione dell’accumulazione privata a vantaggio del lavoro e dei ceti popolari. Il diritto per tutti a un reddito sociale, che è un diritto proclamato dall’art. 38 della Costituzione. E ancora, quel decisivo diritto che storicamente da oltre un secolo accompagna le lotte del mondo del lavoro, e che oggi è messo in discussione dalle politiche di privatizzazione: il diritto all’istruzione, al sapere, alla conoscenza, che vuole dire scuola pubblica, università pubblica. Dare potere a chi lavora significa insomma aprire lo spazio per politiche di profondo cambiamento e di affermazione di diritti, politiche che sono possibili solo se si incide radicalmente, nel conflitto sociale, politico e ideale, sul dominio del capitale. Ed è a questa centralità del lavoro che si ispira il simbolo al quale ci richiamiamo, e nel quale le diverse componenti della sinistra italiana si sono tutte riconosciute per un secolo: il simbolo della falce e martello. La battaglia per ridare centralità al lavoro è la battaglia per una società, per una democrazia, per un’etica pubblica basate non sull’individualismo, sull’arricchimento personale, sul rifiuto di ogni regola, ma fondate sul valore sociale del lavoro, sulla dignità e i diritti di tutte e di tutti. Autonomia e unità della sinistra. Autonomia di pensiero e di giudizio critico sul capitalismo; autonomia nella pratica sociale, nel rapporto con le lotte, con i movimenti, con le associazioni; autonomia politica rispetto alle forze del centrosinistra. Autonomia dal sistema quindi: e per questo parliamo di “sinistra di alternativa”. Autonomia politica non vuol dire non porsi il tema di una politica delle alleanze, ma essere consapevoli che solo una sinistra che sia forte, autonoma rispetto al sistema di potere, unita può evitare la subalternità nello schema bipolare alle forze moderate oggi dominanti nel centrosinistra. La nostra proposta unitaria è rivolta a 360 gradi, a tutti coloro che condividono la necessità di un cambiamento profondo della società, di un rilancio della democrazia. Realtà politiche e associative e significative personalità hanno sottoscritto l’appello per l’Assemblea di oggi. Altre si sono dette interessate a seguire e a partecipare con noi a questo processo. Noi insistiamo nella proposta unitaria anche con chi finora ha detto di no. Alle compagne e ai compagni di Sinistra e libertà, che nell’incontro che abbiamo avuto hanno risposto negativamente alla proposta di partecipare con noi alla costruzione della Federazione della sinistra, voglio dire che non ho ben compreso le motivazioni del loro no. Mi permetto di insistere. Al di là delle intenzioni, che non mi permetto di giudicare, il rischio di diventare una corrente del Pd, salvo decidere se tale corrente debba essere interna o esterna, è un rischio che condanna alla subalternità. Io ho già fatto l’esperienza di una corrente di sinistra minoritaria: non si conta niente. Bisogna insistere e insistere ancora, perché l’unità nella chiarezza è un valore importante. In tanti ce l’hanno detto in campagna elettorale e continuano a dircelo. Ripeto: se c’è qualcuno che non vuole l’unità, non siamo certamente noi. Come ho già detto, verso il Partito democratico dobbiamo rivolgere un’iniziativa che riguardi le regole della democrazia italiana, il superamento del bipolarismo coatto, la riforma della politica: ribadisco l’invito a riflettere sul fatto che Berlusconi e il berlusconismo sono gli unici beneficiari possibili dell’attuale sistema bloccato. Al tempo stesso, non può non essere ferma la critica alle posizioni economico-sociali che il Pd sta riproponendo, ripetendo errori che molto sono costati ai passati governi del centrosinistra. Tagliare le pensioni, togliere ai padri per dare ai figli, rimettere in discussione l’art.18 con il pretesto del contratto unico: sono queste le grandi novità con cui il Pd vorrebbe contrastare Berlusconi? Sono proposte vecchie, già sentite e strasentite, alle quali solo la sinistra seppe opporre un argine, e sulle quali le critiche che vengono dalla Cgil costituiscono un punto importante di riferimento. Quanto all’Italia dei Valori, su alcuni temi ha espresso posizioni avanzate e condivisibili, su altre - come sul federalismo fiscale - del tutto sbagliate. Credo si debba chiedere a questo partito di fare chiarezza sulle sue posizioni sociali, e di uscire dalla logica del regime bipolare, alla quale ha fin qui concorso sostenendo la clausola di sbarramento alle elezioni europee e l’incostituzionale abolizione del rimborso delle spese elettorali per i partiti che non superano il 4 per cento. 7. - Serve quindi una sinistra forte, autonoma, autorevole, radicata socialmente e impegnata nelle lotte sociali, che non rinneghi la propria storia e le proprie diverse identità, ma anzi ne tragga più forza per affrontare con spirito innovativo le sfide che ci attendono. Siamo consapevoli che questo obiettivo deve essere ancora conquistato, che dobbiamo costruirlo insieme. Per questo proponiamo di avviare oggi il processo costituente di una Federazione della sinistra, di un patto comune, di un nuovo soggetto politico che parte dall’esperienza della lista per le Elezioni europee, ma vuole allargare le forze, guardare più avanti. La nostra proposta è la Federazione, per due ragioni. La prima è perché nel nuovo soggetto politico possano convivere diverse identità politiche. Nessuna abiura è necessaria, nessuna abiura sarebbe giusta. Al compagno Nencini, che sembra farne una questione dirimente, e non è il solo, vorrei dire che riproporre l’anticomunismo nel Duemila appare il pretesto per cancellare un punto di vista alternativo e critico; per cancellarlo nella società e nelle istituzioni rappresentative. Non ci stiamo. Consapevoli, come ho detto, che dalla storia della sinistra italiana si traggono i motivi e le ragioni per l’innovazione vera, di sistema, e per l’unità vera, di cui nel nostro documento abbiamo provato a indicare alcune linee fondamentali. Ed è questa la seconda ragione per la proposta della Federazione. Una Federazione che sia un vero soggetto politico: un soggetto politico che operi unitariamente sulla base del principio democratico. Credo pertanto che i partiti e i movimenti che vi aderiscono debbano operare un vero e proprio trasferimento di poteri alla Federazione. Care compagne e cari compagni, l’assemblea di oggi è il primo momento di un percorso comune. Dobbiamo definire le regole dello stare insieme: uno Statuto della Federazione, uno strumento di democrazia, di unità, di innovazione e anche di riforma della politica. Dobbiamo approfondire e definire insieme la nostra piattaforma, la nostra tavola dei valori, le nostre proposte politiche e programmatiche. Questo lavoro di costruzione non può e non deve svolgersi nel vuoto. Al contrario, acquista senso se si accompagna alla ripresa dell’iniziativa politica e sociale, alla battaglia sociale con i lavoratori colpiti dalla crisi, alla mobilitazione contro i provvedimenti del governo, alla difesa dei diritti dei più deboli. Care compagne e cari compagni, è un compito molto impegnativo quello che ci attende. Affrontiamolo insieme. Riapriamo la speranza del cambiamento. Un altro mondo, un’altra Italia sono possibili. Proviamo insieme a trasformare questa speranza in realtà. Roma, 18 luglio 2009 Condividi