di Elio Clero Bertoldi
ASSISI - Alla storia é passato col nome di Elia da Cortona, ma, a parere della maggioranza degli studiosi, Elias della famiglia Bonusbaro (Buonbarone) era nato ad Assisi nel 1180 e nella città toscana, dove era morto nel 1253, aveva trascorso un primo breve periodo nel 1239, quando aveva dato impulso alla costruzione del convento e della chiesa di San Francesco e dove, deceduto Federico II di Svevia nel 1250, aveva vissuto gli ultimi tre anni della sua esistenza terrena.
Elia - di piccola statura, magro, capelli scuri e barba ben curata (secondo un dipinto che lo ritrae) - dopo aver completato gli studi giuridici, aveva abbracciato la predicazione di san Francesco divenendo uno dei suoi discepoli. Anzi, il suo miglior frate. 
In una lettera il poverello definisce Elia “ministro dell’ordine dei frati minori”, molti anni prima che lo divenisse formalmente e aveva così tanta stima e fiducia in lui da averlo mandato, nel 1217, in missione nella lontana (e pericolosa) Siria. Alla morte del santo (avvenuta nel 1226), Elia fu eletto vicario e mantenne la carica per sette anni consecutivi. D’altro canto Tommaso da Celano riporta la benedizione, che suonava come una “incoronazione“ a successore, che Francesco impartì ad Elia con le parole: “Ti benedico, o figlio, in tutto e per tutto... in cielo e in terra ti benedica Dio... Si ricordi Dio del tuo lavoro e della tua opera e ti riservi la tua mercede nel giorno della retribuzione dei giusti. Che tu possa trovare qualunque benedizione desideri e sia esaudita qualsiasi tua giusta domanda.”
La carica di ministro generale l’ottenne poi nel 1232 e la conservò fino al 1239. 
Il fraticello assisano si era guadagnato la considerazione e la protezione del cardinale Ugolino dei conti di Anagni, poi divenuto pontefice col nome di Gregorio IX. Intanto, sotto la sua guida - i contemporanei riconoscono ad Elia una notevole capacità organizzativa - iniziarono i lavori della Basilica Inferiore di Assisi e la costruzione della tomba del santo, di cui non soltanto fu entusiasta promotore (qualcuno lo indica come ideatore, qualche altro persino come architetto del monumento), ma pure primo custode. Fu Gregorio a inviare il frate, ancora ministro generale dei francescani, a Pisa quale ambasciatore per incontrare Federico II di Svevia. L’imperatore, due anni prima, aveva travolto la Lega Lombarda a Cortenova e si era impossessato persino del Carroccio. Il dotto frate avrebbe dovuto trattare, a nome del pontefice, una tregua e convincere il potere temporale (l’imperatore) a riavvicinarsi ed a ricollocarsi nell’alveo di quello spirituale (il papa). 
Ma il compito, molto arduo viste le posizioni assunte dalla Chiesa e dall’impero su questo delicato tema, non gli riuscì. Ottenne invece, in quella circostanza, il rispetto prima e l’amicizia poi di Federico. Che lo chiamava “dilecto familiari et fideli nostro”. Forse Federico, oltre alla stima per il frate assisano, conservava nel cuore un ricordo bello e dolce della sua infanzia, trascorsa in Umbria tra Assisi (dove era stato battezzato), Foligno, Montefalco, Spoleto (di cui era duca Corrado di Urslingen, al quale Costanza di Altavilla aveva affidato il piccolo, futuro imperatore) ed anche per questi motivi lo aveva preso a benvolere.
Proprio in quell’anno il papa scomunicò l’imperatore e subito dopo un identico provvedimento riguardò il frate, allontanato pure dalla carica di ministro dell’ordine e sostituito con Alberto di Pisa.
Elia, a quel punto, decise di rimanere come consigliere alla corte di Federico, affiancandolo in molte battaglie e negli assedi, su e giù per l’Italia, ma soprattutto aiutandolo nell’attività amministrativa e diplomatica. 
Fu mandato quale ambasciatore in Oriente dall’imperatore Baldovino II e a trattare pure le clausole matrimoniali di Costanza Staufen, allora quattordicenne, figlia naturale di Federico e Bianca Lancia, con l’anziano vedovo Giovanni III Vatatze (le nozze furono celebrate nel 1244), imperatore bizantino. Nel periodo trascorso nella corte imperiale, Elia si attirò le antipatie dei confratelli francescani. Persino chi, prima del 1239, lo aveva apprezzato e lodato, passò a criticarlo pesantemente. 
Su questo versante si posero Tommaso da Celano, Salimbene de Adam e Angelo Clareno biografi e cronisti di San Francesco e della storia francescana. Lo accusavano, tra l’altro, di studi, di pratiche e di scritti alchemici. Persino di eresia. É plausibile che qualcosa di reale, di concreto questa contestazione la contenesse, se si considera come tra i consiglieri di corte dello “stupor mundi” figurasse anche Michele Scoto, lui sì noto alchimista (e che si diceva maestro di Elia in questa disciplina, che ancora non era stata condannata dalla Chiesa). 
Elia, di grande cultura ed erudizione, vantava di sicuro profonde conoscenze esoteriche. Basta osservare i disegni - analizzati e studiati in particolare da padre Marino Bigaroni, intellettuale, frate minore, scomparso da qualche anno e umbro di nascita - tracciati sulla tomba di San Francesco per rendersene conto. Tuttavia sulla adesione profonda di Elia alla religione cattolica non si possono nutrire dubbi. Il riavvicinamento alla madre chiesa ed all’ordine maturò dopo la morte dell’imperatore (1250): il frate si ritirò a Cortona, dove recò con sé la reliquia della “Vera Croce” ricevuta in dono, nel suo viaggio a Bisanzio e che, lasciata in eredità ai confratelli, venne da allora custodita nella chiesa cortonese di San Francesco.

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