Allo sciopero generale del 29 novembre, indetto da CGIL e UIL, si sono mobilitati tante e tanti ricercatori universitari, che vedono messo a rischio il proprio posto di lavoro dalle politiche del Governo Meloni, attraverso un draconiano taglio delle risorse.

Il fondo di finanziamento ordinario è lo strumento principale con cui lo Stato finanzia le Università pubbliche, al fine di coprire le spese correnti e per sostenere le attività didattiche e di ricerca. Il fondo di finanziamento ordinario complessivo è poi distribuito dal Ministero dell’Università e della Ricerca alle diverse Università pubbliche, in base a specifici criteri: dimensioni e studenti iscritti, qualità della ricerca e della didattica, efficienza gestionale e livello di occupabilità degli studenti laureati.
Questo fondo, dal 2023 al 2024, è stato ridotto, senza tener conto dell’inflazione, di 200 milioni. Dal 2000 il fondo è in costante diminuzione; comunque, il finanziamento delle Università pubbliche è circa la metà di quello di Francia e Germania. Un taglio delle risorse, che appare come un vero e proprio strangolamento della ricerca di base che non abbia finalità subordinate agli affari e all’industria.
Stiamo assistendo a una politica della ricerca che tende a trasformare le nostre Università pubbliche in grandi istituti professionali al servizio del sistema delle imprese. Una visione miope e autolesionista. Una scelta scellerata, che chiude al nostro Paese la possibilità di stare nella scia dei grandi Paesi che investono nella ricerca pura, che ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo e al progresso economico.
Il fondo è essenziale per l’assunzione a tempo indeterminato dei ricercatori, per farli uscire dall’inferno della precarietà e del mancato riconoscimento professionale.
Recentemente, 120 società scientifiche hanno lanciato l’allarme sul definanziamento degli atenei pubblici. All’Università di Perugia toccherà un taglio di circa 4 milioni, con un danno indiretto anche alla città, che sollecita quindi l’Amministrazione comunale a una presa di posizione decisa contro la scelta del Governo Meloni.
I tagli, l’immutabile sottodimensionamento dei docenti e del personale amministrativo e la “criminale” riduzione delle politiche per il diritto allo studio porteranno, inevitabilmente, a un abbassamento del livello di scolarizzazione complessivo del Paese, alimentando quindi la fuga all’estero dei migliori giovani ricercatori.
Queste tendenze politiche ci spingono verso la privatizzazione del sapere e della conoscenza (in verità, in atto da molti anni) e la messa dell’Università sotto il controllo diretto del Governo, alla faccia dell’articolo 33 della Costituzione.

Stefano Vinti
Associazione UmbriaLeft

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