L’altra Artemisia: cantante e suonatrice col vezzo di abiti ricercati e di seta
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Questo “Autoritratto come suonatrice di liuto” è un dipinto della pittrice romana Artemisia Gentileschi (1593-1656) artista di scuola caravaggesca.
L'opera - completata, pare, a Firenze alla corte di Cosimo II de’ Medici - è esposta nella Curtis Galleries, di Minneapolis.
La Gentileschi - che nel 1611 subì, in casa propria, a Roma, uno stupro (a 18 anni) ad opera del “maestro” Agostino Tassi, amico del padre (pure lui pittore), che lo aveva scelto per aumentare le qualità artistiche, già notevoli, della figlia - colse mentre era in vita successi significativi, anche economici, dalla sua arte, non solo a Roma, Firenze, Napoli, Venezia, ma pure a Londra.
La pittrice morì nel 1656 nell’ondata di peste che colpì l’area partenopea. La salma venne tumulata nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. Sulla lapide, andata perduta, due sole parole: “Heic Artemisia” (Qui Artemisia), a testimonianza di quanto la pittrice fosse conosciuta.
Il dipinto sottolinea anche un’altra particolarità di Artemisia: la pittrice sapeva suonare il liuto e possedeva una bella voce. Amava esibirsi in pubblico.
Tra i suoi vezzi l’eleganza nel vestire: sceglieva abiti di finissima seta - molti dei quali appaiono riprodotti nelle sue tele e non solo negli autoritratti, ma anche indosso ad altri personaggi femminili -, per i quali coltivava una irresistibile predilezione.

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