di Vito Nocera 

Parlando della battaglia di opposizione sul tema dell'autonomia differenziata l'esperto e saggio Bassolino, in una recente intervista, ha messo in guardia da una impostazione che non mobilita l'intero Paese, non parla a forze sociali larghe, non si sviluppa con un vero respiro di massa.
Far crescere, insomma, la consapevolezza che l'intero Paese non ce la puo' fare senza il Mezzogiorno.
La critica, in sostanza, a una pigrizia che si rivolge in modo difensivo al solo Mezzogiorno.
Spesso con fragili sit - in e accanite contese nelle aule parlamentari ad uso e consumo di notiziari e talk show della sera.
Come meravigliarsi poi che la premier ha gioco facile, ad esempio sulla questione Stellantis, a polemizzare con durezza richiamando le responsabilita' degli Elkann?
E i circuiti informativi che vanno per la maggiore che fanno?
Piuttosto che ragionare sul tema strategico della politica industriale fanno fiumi di trasmissioni sullo sbrego che avrebbe commesso la premier chiamando in causa, per il declino italiano dell'ex Fiat, la discendenza degli Agnelli.
Si potrebbero fare altri esempi ma il vizio di fondo e' lo stesso.
L'opposizione non e' che - come si dice - non c'e'.
E' peggio.
L'opposizione - nel metodo e nei contenuti - e' appaltata ai salotti buoni del - peraltro decaduto - capitalismo italiano.
E all'orizzonte si profila lo stesso scenario sulle questioni istituzionali e le annunciate riforme.
Ai circuiti comunicativi suddetti interessa spacciare per bavagli riforme magari discutibili, come ogni cosa, ma a volte anche di qualche necessita', invece che concorrere a un dibattito critico vero capace di persuadere il Paese.
Quante parole e polemiche inutili.
Anche il dibattito sulla Costituzione appare del tutto astratto, senza alcuna connessione con i conflitti e i rapporti di forza reali.
Qui in particolare c'e' proprio un equivoco di fondo.
Il rovesciamento del rapporto tra l'evento e la norma.
Se abbiamo una Costituzione che sancisce che la nostra e'una repubblica antifascista e' perche' c'è stata una contesa.
In pratica una guerra civile, che ha visto una parte soccombere e le pur articolate altre parti sedersi al tavolo e produrre la norma.
Nel frattempo sono trascorsi anni e anni, sono successe tante cose e, in ultimo, una in particolare.
E cioè che gli eredi degli sconfitti di allora hanno vinto le elezioni e sono al governo.
E' chiaro che fanno e faranno di tutto per consolidare il loro insediamento.
E dall'opposizione che si fa?
Ci si appella alla norma.
Senza badare per nulla al fatto che devi semmai essere capace di produrre un nuovo evento politico, senno' la contesa e' perduta.
Per riaprire la contesa sul serio allora - piaccia o no - non occorre ne' propaganda ne' fretta.
E soprattutto occorre, se ancora c'e' qualche scampolo di cultura politica a sinistra, revocare l'appalto dell'opposizione a quanti oggi sembrano farla piu' per un narcisismo di censo che per dare una nuova prospettiva sociale al paese.
Gruppi economico - finanziari che vedono i nuovi governanti come una razza socialmente inferiore che ne sta usurpando il dominio.
Esponenti della comunicazione allarmati che qualche riforma possa rendere loro meno agevole raccogliere notizie riservate.
Notizie che a volte servono, piu' che ad informare, a favorire faraoniche carriere di singoli giornalisti ai danni di propri colleghi privi degli stessi canali.
Per non dire della ottusa rincorsa di Conte per azzoppare una pur troppo debole Schlein.
Una ormai insopportabile rincorsa, tanto da costringere perfino Bersani - che di Conte era stato lo sponsor - a ricredersi, forse ormai troppo tardi, e indirizzare accigliato le sue micidiali metafore all'ex amico Travaglio.
Servirebbe una vera e propria rinascita di un nuovo Movimento Operaio.
Nel senso di centralita' di soggetti protagonisti del conflitto tra salario e profitto, tra lavoro e capitale.
Di ricostruzione, a partire da questo conflitto, di culture politiche autenticamente democratiche.
Di elaborazione anche di una visione politica europea che consenta alla Ue un ruolo vero.
Nelle politiche economiche e sociali
e di mediazione e di pace nelle grandi contese che incendiano il mondo.
In primis l'insopportabile massacro di civili e bambini palestinesi di queste ore nel territorio di Gaza.
Ma come avviare questa indispensabile svolta se a sinistra da tempo neppure si discute piu' sui risultati del voto?
Lo scetticismo sul fatto che vi sia questa capacita' e' piuttosto diffuso.
Scorriamo ancora la citata intervista a Bassolino:
«Da diversi anni si è persa l'abitudine di fare una riflessione sul voto. Senza nessuna nostalgia per il passato, questa pratica serviva come crescita dei gruppi dirigenti e si analizzavano i cambiamenti: era l'esercizio più importante di una forza politica. Oggi, invece, si volta pagina appena qualche giorno dopo la scadenza elettorale».
Che direbbero queste analisi?
«Dati clamorosi e non solo elettorali. Ad esempio che alle ultime politiche su 100 operai solo 9 hanno votato il Pd mentre 39 hanno scelto Fratelli d'Italia».
«Appunto. Per questo credo che il centrosinistra debba porre un'attenzione prevalente sui grandi temi sociali. Bene la battaglia che è stata fatta sul salario minimo ma occorre guardare al nuovo quadro di diseguaglianze nato nel Paese. C'è una crescita delle povertà, non solo quelle classiche ma anche le moderne, che crea un'inedita questione sociale. E l'attenzione su questo scenario è, a mio avviso, ancora troppo debole».
Come dargli torto?

 

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