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Per ventiquattro ore la proposta di Piero Sansonetti («Vendola segretario del Pd») ha fatto parlare di sé e ha guadagnato qualche comprensibile curiosità mediatica. Un diversivo divertente dentro la contesa politica che oppone i veri candidati alla direzione del maggiore partito di opposizione (?) in permanente ricerca di leadership non meno che di identità. La provocazione, come era nelle cose, ha lasciato il tempo che ha trovato. In realtà, è mia opinione che quella proposta un senso politico ce l'abbia. Un senso preciso, che non va misurato sulla evidente impraticabilità dell'ipotesi, ben chiara, ne sono certo, allo stesso Sansonetti. Il significato della proposta - nella sua apparente paradossalità - sta nell'indicazione di un percorso in via di accelerata gestazione, di una traiettoria politica che costituisce una cesura netta rispetto al progetto, considerato ormai vetusto, di costruire una forte sinistra, di qualsivoglia genere e natura, ma autonoma dal Partito democratico. In fondo, questo è l'esito di quella profezia autodeterminantesi, che fu vaticinata da Fausto Bertinotti alla vigilia delle elezioni europee con quel perentorio «tanto peggio, tanto meglio». Che auspicava una comune sconfitta delle due liste di sinistra tale da generare un virtuosissimo big-bang, un nuovo inizio, una catarsi politica e riunificare, rifondare, ripensare ciò che la scissione e l'inveterata disposizione alla diaspora avevano diviso e disperso. Era l'idea, così mi pare formulata, di un nuovo partito «non interclassista», capace di scomporre le forze di opposizione, rimettere radici in quel mondo del lavoro di cui si sono perse le coordinate e, contemporaneamente, far vivere, al suo interno, una forte critica anticapitalista, nutrita da una rinnovata elaborazione teorica e strategica. Nucleo e baricentro politico di questa operazione doveva essere il Movimento per la sinistra di Nichi Vendola. Che invece, come pare ormai chiaro, muove con gli stivali delle sette leghe in tutt'altra direzione. Il cosiddetto laboratorio pugliese con l'apertura ad Udc, Idv e, persino, al Movimento della fascistissima Adriana Poli Bortone fa comprendere che sono stati divelti tutti i paletti e che non c'è area politica che non possa essere coinvolta nell'eclettica ridefinizione del quadro di alleanze praticabili. Insomma, la piega presa dagli avvenimenti è molto diversa da quella di una sinistra moderna, affrancata da autistiche chiusure. Somiglia piuttosto ad una sorta di "rompete le righe", propedeutico ad una confluenza nel Pd per spostarne l'asse - si dice sempre così - a sinistra e condizionarne, dall'interno, la politica. La proposta di Sansonetti, dunque, non è nient'affatto peregrina. Ed è anche supportata da un ragionamento persino più esplicito e rivelatore di quanto lo stato maggiore di Sinistra e Libertà sia disposto ad ammettere. Tutto ruota intorno all'espressione di Sansonetti: «bisogna prendere atto». Ma di che cosa? Intanto, che il bipartitismo c'è. «Può non piacere, ma una realtà». Da non più demonizzare e da rileggere come la forma dentro cui oggi si può sviluppare la dialettica politica. Poi, il leaderismo. Anche di esso si deve «prendere pragmaticamente atto». Potrà urtare qualche suscettibilità a sinistra e la memoria incartapecorita di qualche antifascista, ma vivaddio «dalla dittatura - dice Sansonetti - sono trascorsi oltre sessant'anni» e dovremmo finalmente liberarci di certe idiosincrasie, di certi riflessi condizionati. E anzi, intelligentemente, comprendere che in fondo c'è anche un leaderismo buono, una utile semplificazione del messaggio politico che si incarna nella persona, che vive nell'imperiosa seduttività del capo, fuori da una romantica quanto sterile idea di democrazia partecipata e dalle stucchevoli fumisterie programmatiche che non arrivano più da nessuna parte. Ora, fra queste due "prese d'atto" che senza perifrasi alludono alla necessità di una rapida strategia entrista nel Partito democratico, ve ne sono - of course - molte altre. Perché il Pd, nel suo insieme e in ciascuna delle sue interne correnti, è senz'altro, nell'ordine: interclassista, mercatista, aconflittuale, sostanzialmente liberista, in versioni più o meno temperate. E altrettanto certamente non è: anticapitalista, laicista, egualitario. Per starvi dentro occorrono, dunque, molte, molte altre "prese d'atto". Che prima si fanno con il mal di pancia. Poi, rapidamente, passa anche quello. Condividi