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“Di congresso e di scelte congressuali non parlo, quello che avevo da dire l’ho detto l’altro giorno al teatro Capranica di Roma. Sono qui solo per parlare del libro di Mauro”. Punto e basta. Chi si aspettava dunque qualche notizia in più a proposito del prossimo congresso democratico di ottobre e circa il sostegno di Veltroni al suo ex vice Franceschini è stato deluso. Oggi pomeriggio, alla sala dei Notari di Perugia si è parlato appunto solo de “Il tesoriere”, ultima fatica letteraria del deputato umbro nonché tesoriere democratico Mauro Agostini. Anche se qualcosina tra le righe delle risposte che Veltroni ha dato a Giuliano Giubilei che lo ha intervistato si è potuto capire. Guardando allo scenario locale, era interessante vedere chi c’era e chi no. Intanto c’era la squadra “B” al completo, ovvero Boccali, Bracalente, Brega, Bocci, Bracco e Bruscolotti. Più defilata, a lato del palco degli oratori, la presidente della Regione Lorenzetti (dalemiana d’acciaio inox 18/10) e il coordinatore comunale del Pd Leonelli. E poi ancora, in ordine sparso, Maria Prodi, il presidente della Provincia Guasticchi che scruta la situazione dal fondo della sala e il consigliere Daniela Frullani. Sul fronte dei consiglieri regionali hanno risposto presente Enzo Ronca e Maria Prodi, anch’essa, pare, schierata per Bersani e in posizione defilata come la Lorenzetti. Sulla falsariga del morettiano “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente”, il segretario provinciale del Pd Stramaccioni (che qualcuno ormai chiama “L’Equidistante”), propende per la seconda ipotesi. Un crocicchio di consiglieri comunali bipartisan lo intercetta di fronte all’ingresso di palazzo dei Priori. “E tu che fai – fanno maliziosi quelli -, non vai da Veltroni?”. “No grazie – risponde lui sorridendo – stasera vado a casa”. In effetti, come dargli torto. Veltroni di gustose notizie congressuali non ne dà e rimette in scena la liturgia che tutti conoscono. Di eccitante c’è poco. “Dite ai vostri direttori - ha detto Veltroni - che per colpa mia oggi non c'è materia, ma ho deciso di non parlare direttamente anche per la posizione e per le scelte che ho fatto”. Insomma, sostiene Franceschini ma in realtà non lo sostiene perché “io sono fuori dal congresso”, si è dimesso da segretario sì ma senza strascichi, pacatamente e serenamente “senza sbattere la porta”. Epperò ci sono “tante amarezze e tante delusioni che tengo per me dentro uno scrigno interiore che non verrà aperto perché voglio molto bene a questo partito”. Cioè, è incazzato come una belva con i suoi compagni di partito, quelli che Franceschni chiama “apparato”, quelli che “c’erano prima” (perché lui prima dov’era?) perché gli hanno messo i bastoni fra le ruote ma non lo dice. Lo fa capire e basta. E qui viene in mente quello che perfidamente disse un giornalista di Romano Prodi, ossia che “gronda bonomia da tutti gli artigli”. In sintesi comunque, al congresso Veltroni ci si avvicina così: “il mio contributo – dice – sarà quello di tenermi fuori”. Ma come si contribuisce ad un qualcosa standone fuori? Sempre interpretando e leggendo fra le righe, si capisce anche, ma non è una novità, che Veltroni è contro la riproposizione dell’Ulivo, ergo contro Bersani, ergo pro Franceschini. Tutte cose ovvie, ma che non dice apertamente: “Obama – dice Veltroni prendendola un po’ alla larga – può dare vita al suo programma perché non ha dietro una coalizione di dodici partiti. Io credo – che bisogna tornare allo spirito del Lingotto e andare oltre per dare al paese un partito riformista e di governo. La politica nostrana è consumata. Non c’è bisogno del bipartitismo ma di un bipolarismo con due cuori forti”. Insomma, la vocazione maggioritaria intesa come Pd al 51% è stata seppellita (anche dagli elettori), l’Ulivo è morto, io non mi sento tanto bene e con qualcuno bisogna allearsi. Ma con chi Walter non lo dice. Il problema, o meglio la sensazione, è quella di essere investiti da una mitraglia di parole per poi uscire con un orizzonte non ancora definito, nebuloso, dove tutto è possibile. Il resto è stato l’elogio del metodo delle primarie (“che sarebbero da istituire per legge”), della “necessità della lotta a tutte le mafie”, l’importanza dei “giovani”, i “cinquantenni che perdono il lavoro” e così via. Agostini prende la parola dopo 40 minuti per parlare del suo libro. La messa è finita, andate in pace. Forse. Condividi