PERCHE' DIFENDERE IL REDDITO DI CITTADINANZA CONTRO POVERTA' E SPECULAZIONE
di Andrea Orlando
Secondo un recente rapporto dell'Istat, nel 2022 poco meno di un quarto della popolazione (24,4%) è a rischio di povertà o esclusione sociale, più o meno come nel 2021 (25,2%). La congiuntura attesa è tutt’altro che favorevole, tanto più alla luce del calo della produzione industriale e dell’ulteriore aumento dei tassi di interesse annunciato dalla Bce. Questo insieme di elementi non sembra però preoccupare minimamente il Governo che in queste ore è impegnato a smantellare l’unico strumento di contrasto alla povertà esistente: il reddito di cittadinanza.
La simulazione effettuata dall'Ufficio Parlamentare di Bilancio in merito alle nuove misure del Dl Lavoro ci dice che dei quasi 1,2 milioni di nuclei familiari beneficiari di reddito di cittadinanza, circa 400.000 (il 33,6%) saranno esclusi dall'assegno di inclusione (lo strumento che sostituirà il rdc) perché al loro interno non sono presenti soggetti da tutelare secondo le nuove norme. Dei restanti circa 790.000 nuclei in cui sono presenti soggetti tutelati, circa 97.000 (poco più del 12%) risulterebbero comunque esclusi dalla fruizione dell'Adi per effetto dei vincoli di natura economica. Nel complesso, dunque, i nuclei beneficiari dell'Adi risulterebbero circa 740.000, di cui 690.000 già beneficiari di Rdc e 50.000 nuovi beneficiari per via della modifica del vincolo di residenza. Circa la metà insomma rispetto al reddito. E come abbiamo visto la povertà sembra destinata a crescere. In sostanza si chiude l’ombrello mentre la pioggia si fa più intensa.
In una recente audizione al Senato il presidente dell'Inps ha poi sottolineato in merito al Rdc che sulla base dei controlli avviati dall'Istituto ex ante sono state respinte un totale di 1,9 milioni di domande. Ex post, invece, sono state revocate in quattro anni 300mila domande e sono state poste in decadenza 1 milione di domande. In totale, quindi, 3,2 milioni di domande non pagate che hanno comportato un esborso non pagato pari a 11 miliardi di euro. Una tempestività ed un’incisività che ha generato un paradosso. Il racconto di questa efficace e non comune opera di repressione anziché come conseguenza della natura stringente delle norme è stato reso come la conseguenza di una patologia, della natura distorta del sussidio e ancora una volta, tra le righe, dell’immoralità dei percettori.
La campagna non si è neppure affievolita quando l’Istat presieduta dal professor Blangiardo, ha certificato che il reddito avrebbe salvato circa un milione di persone dalla povertà assoluta, anzi paradossalmente, o forse no, il cannoneggiamento si è addirittura intensificato. Per una parte consistente ed influente delle classi dirigenti italiane la nascita è un merito, è il vero merito, la ricchezza ne è la diretta conseguenza. Per questo la povertà è una colpa alla quale fare al più fronte, in modo pietistico, con un po' di filantropia. C'è un cieco furore ideologico che rimuove le cause oggettive della povertà, una pulsione caratterizzata dall’avversione a qualunque politica minimamente redistributiva. C'è poi una seconda ragione per la quale interessi concreti hanno mosso guerra al reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza ha esercitato una pressione oggettiva sui salari più bassi sul mondo del nero e del grigio, dell'elusione contributiva, un mondo che include una parte consistente dei servizi, del turismo, dell’agricoltura e dell’edilizia minori.
Sul disoccupato si fanno gravare le responsabilità di un sistema della formazione e talvolta dell’istruzione inadeguato. E oggi lo smantellamento del reddito avviene mentre si dovrebbero attivare le risorse previste dal Pnrr che per la prima volta costituiscono un investimento importante in quest’ambito, in grado di superare questo limite.
Questa impostazione dà inoltre per scontato che l’accesso al lavoro coincida con l’uscita dalla condizione di povertà. Una cosa tutt’altro che vera in Italia, dove più del 15% dei lavoratori si colloca al di sotto della soglia di povertà e dove il 20% dei percettori del reddito di cittadinanza, prima delle ultime modifiche volute dal governo Meloni, era costituito da lavoratori con un regolare contratto nonostante il quale continuavano ad integrare i requisiti per percepire il sussidio. Un ripugnante eccesso di zelo ha spinto poi alcuni esponenti del terzo polo a contrapporre i percettori del reddito ai lavoratori dipendenti bruciando sul tempo la destra nazionalista in uno degli esercizi che più la caratterizza: contrapporre gli ultimi ai penultimi.
Il Partito Democratico votò contro il reddito di cittadinanza e fu un errore, un errore grave, non giustificabile né con i limiti del provvedimento, né con il tratto paternalista di alcune sue norme, né con l’assenza, al tempo, delle politiche attive del lavoro. Un provvedimento si vota per ciò che c’è al suo interno non per ciò che manca nel sistema complessivo, né per come viene presentato. Pesava sicuramente la propaganda del Movimento 5 Stelle che proprio in quei mesi scatenò una violentissima campagna contro il Pd. Ma pesò anche il posizionamento politico della leadership dell’epoca. Oggi si pone comunque la possibilità di superare quell’errore per difendere lo strumento essenziale in sé e per affermare un principio la cui difesa è oggi vitale per il Partito democratico. L’aggressione al reddito di cittadinanza è spesso l’aggressione all’idea stessa della redistribuzione in quanto tale. E il reddito di cittadinanza è stato il più importante episodio di redistribuzione di reddito dopo gli ottanta Euro del governo Renzi. La lotta alle diseguaglianze è un tema che è finalmente tornato nell’agenda del Pd. Ma senza redistribuzione, rivedendo le priorità di spesa o il carico fiscale questa parola d’ordine resta vuota. Penso che la costruzione del nuovo Pd e il suo radicamento in molte aree del Paese passi anche per questa battaglia.
La rottura tra sinistra e larga parte dei settori popolari della società non è stato un accidente storico. Sicuramente ha inciso la capacità della destra di contrapporre le povertà, gli ultimi ai penultimi ed una certa disattenzione culturale che è diventata talvolta sufficienza. È mancata una bandiera, una conquista concreta da raccontare. I poveri non votano la sinistra anche perché è molto tempo che la sinistra non fa qualche cosa di concreto per loro. Noi non diciamo mai, anche se sarebbe corretto, la sanità pubblica va difesa ma va cambiata. Eppure ci sono molte cose che andrebbero cambiate in quel contesto, cosi come nella scuola pubblica o nella previdenza. Per cambiare qualcosa è necessario che quella cosa prima di tutto esista. La stessa formula usata per il reddito di cittadinanza, (“dobbiamo difenderlo ma va cambiato”) è la spia di un imbarazzo che va superato. Al fatto che altri, anche con parole d’ordine discutibili, se ne siano impossessati si deve reagire riconquistando l’obbiettivo della lotta alla povertà come priorità e non negandone o sminuendone le ragioni. Un sussidio universale contro la povertà è un tassello essenziale di un’azione politica finalizzata alla coesione sociale e all’inclusione. Da solo non basta ma senza la situazione sarà ancora più drammatica.
Questa battaglia va, infatti, collegata a quella per la piena attuazione delle politiche attive previste nel Pnrr e contro lo smantellamento di Anpal. Va legata a quella per il salario minimo e alla previsione di grandi progetti di manutenzione delle città e del territorio realizzati anche utilizzando forme di lavoro garantito. L’identità di una forza politica che si batte contro le diseguaglianze, in concreto, passa da una battaglia come questa. È particolarmente difficile perché i poveri non sono organizzati, non hanno voce, non organizzano convegni, spesso la loro condizione li ha privati della stessa consapevolezza dei loro diritti, sono stati, spesso, portati a vergognarsi della loro condizioni. Per questo non vedremo grandi manifestazioni contro le scelte del governo.
Trovare le forme adeguate per opporsi ad esse parlando a quel mondo nascosto e diffidente sarà però essenziale per il Pd e per la sinistra.
Fonte: Fanpage

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