di Elio Clero Bertoldi

Guai a perdere la testa. Soprattutto in questo momento. E anche per i processi - chi non si é rivelato all’altezza, chi ha sbagliato, chi é ricaduto più volte negli stessi errori, chi ha tradito - sarà opportuno attendere la fine dei giochi. 
Gli osservatori inascoltati, che già a dicembre avevano lanciato l'allarme (“Non sarà una "blitzkrieg" ma una guerra di trincea, di logoramento” o, ancora, “la salvezza sarà così difficile che, se arriverà, farà impallidire la grandezza dell'impresa mitica degli Argonauti che conquistarono il “vello d’oro”, contro ogni previsione e superando prove impossibili”) non di gloriano per le previsioni azzeccate.
E osservano con distacco la folla che si accorge adesso dello scatafascio ed anche chi si lascia abbindolare dal più cupo pessimismo o dal fin troppo facile, adesso, disfattismo. Che poi é la strada più corta per rotolare in Lega Pro.
Fuori dai denti: la situazione attuale del Perugia appare decisamente drammatica. Il club si colloca a quota 35 in zona play out (insieme al Cittadella che vanta due lunghezze in più) a pari punti con il Brescia, uno scalino più in alto della Spal (che aspetta, nel prossimo turno, i biancorossi a Ferrara) e quattro più del Benevento (con cui sarà in programma l’ultima gara interna). 
A lume di logica solo il Cosenza (38) potrebbe, in via di pura ipotesi, venire risucchiato nella zona più calda. Le formazioni che orbitano dai 42 punti del Como e del Venezia (ha appena strapazzato i rossoverdi) fino ai 43 della Ternana e dell'Ascoli ed ai 44 del Modena e del Palermo, difficilmente si faranno "strappare" i propri tesoretti in 360 minuti o giù di lì. Tanto più in un finale di stagione in cui i pareggi diventano, più o meno stranamente, molto frequenti. 
A dirla tutta, la probabilità migliore, allo stato, che potrebbe verificarsi per i biancorossi sarebbe lo spareggio per non retrocedere.
Tuttavia, non é detta l'ultima parola. Non ci si fascia la testa se non quando si viene concretamente, realmente feriti. 
L'atteggiamento dimostrato a fine gara da Fabrizio Castori con il richiamo all'ottimismo ed alla fiducia, si rivela corretto e condivisibile. Un comandante dell'esercito, può vantare maggiori o minori qualità di stratega, ma offenderebbe il suo ruolo se non riuscisse a tenere alto il morale della truppa alla vigilia delle battaglie più delicate. Spargere a piene mani serenità e speranza tra i propri soldati, sollecitarli a dare il meglio, a ricorrere a tutte le proprie energie interiori, altro non rappresenta che il minimo sindacale per chi svolge la funzione di "capo". 
D'altronde questi, e non altri, sono gli uomini, con tutti i loro limiti tecnici e caratteriali, con i quali il Perugia deve affrontare i quattro "competitor" della stagione regolare (Spal, Cagliari, Venezia e Benevento), che si frappongono, per l'intanto, alla permanenza nella cadetteria. 
Dunque l'ambiente, se non vuole darsi la zappa sui piedi, dovrà "ostinatamente" sostenere i propri colori, così come Roma non si fece prendere e fiaccare dal panico dopo il sanguinoso tracollo di Canne e così come gli italiani, nella stragrande maggioranza, non precipitarono nell'isterismo collettivo dopo la rovinosa rotta di  Caporetto. Nel primo caso arrivò nel 202 aC il trionfo di Zama; nel secondo, poco più di un secolo fa, il travolgente, definitivo successo di Vittorio Veneto. 
Il compito resta difficile, forse pure impossibile, ma altra strada non si intravede a meno che non si voglia mollare la presa, arrendersi anzitempo, rifiutare di battersi, aspetto che non si addice né al Grifo e neppure alla storia dei perugini, talvolta usciti sconfitti, ma con le armi in pugno, giammai per viltà.

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