di Linda Santilli

La sentenza della Corte di Cassazione dei giorni scorsi, che lascia Alfredo Cospito dentro il 41 bis, è una sentenza di condanna a morte e questo va detto chiaramente. La sentenza ha ignorato sia i pareri della Direzione Nazionale Antimafia che quelli dell’Amministrazione Penitenziaria e della Procura Generale, pronunciando quello che di fatto è un verdetto terrificante.

Sbaglieremmo a credere che si tratti di un inciampo della giustizia. Di un incidente di percorso della democrazia il cui cardine è la Costituzione, perché nel nostro Paese della Costituzione viene fatta carta straccia un giorno sì e l’altro pure. Ma forse sbaglieremmo una volta di più a pensare che l’opinione pubblica italiana consideri questa sentenza un abominio. Uscendo dalle nostre bolle virtuali, c’è da temere invece che la maggioranza si riconosca nelle parole tronfie del deputato di Forza Italia Flavio Tosi: “Lui sciopera per la fame contro il 41 bis? Faccia pure, libero di farlo, non cediamo ai ricatti e non sentiremo la sua mancanza”.

Il messaggio che ci arriva è: Cospito è un criminale e merita il 41 bis, che lo Stato ha pensato proprio per difenderci dai criminali. Ergo – messaggio successivo – siccome è un criminale merita di crepare. Dal dire questo, a dire che di fronte a certi crimini ci sta pure la pena di morte, il filo è sottilissimo. Riflettiamoci. Riflettiamo su dove siamo arrivati.

E mentre riflettiamo, chiediamoci perché Alfredo Cospito, che non ha commesso reati di sangue, che non appartiene ad una organizzazione mafiosa o criminale, sia finito in 41 bis. Perché? Lui lì non ci dovrebbe stare. Forse perché Cospito morto potrebbe scatenare reazioni tali da giustificare una conseguente torsione repressiva?

Vorrei infine ricordare che Cospito è in sciopero della fame non per salvare se stesso, ma per portare avanti una lotta contro il 41 bis. Non è il solo a pensare che quel regime è anticostituzionale. Che cozza con l’articolo 27 della Carta. Che la sua applicazione travalica lo scopo di impedire le comunicazioni tra un detenuto e l’organizzazione criminale di appartenenza, trasformandosi in barbarie. Ho visitato più volte carceri di massima sicurezza, insieme ad Elettra Deiana nelle sue ispezioni parlamentari. Ho visto dal di dentro che cosa è il 41 bis, all’Aquila e in altre supercarceri. Le misure concretamente applicate in quel regime sono puro accanimento sulla persona reclusa, con un surplus aggiuntivo di pena che viola i diritti umani elementari e che non ha altra ragione di esistere se non quella di infliggere un supplizio.

Se siamo contro la pena di morte, non possiamo essere a favore del 41 bis (ma neanche dell’ergastolo, del “fine pena MAI”, che è una pena di morte dolce ma sempre pena di morte è…).

So che queste sono posizioni minoritarie. So che parlare di inasprimento delle pene, di carcere duro, di chiudere uno in cella e buttare le chiavi è più facile, fa presa, riscuote consenso più che mai. Ma se siamo arrivati al punto in cui un cittadino che ha commesso un reato viene gettato in 41 bis senza fondamento e lì lasciato a sfidare la morte, significa che il filo sottilissimo di cui parlavo rischia di spezzarsi, che la pena di morte è già tra noi. Questo non possiamo accettarlo. A questo dobbiamo ribellarci.  

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