GORBACIOV E I COMUNISTI ITALIANI.
di Guido Liguori.
Quando Enrico Berlinguer, il Segretario del Partito Comunista Italiano (PCI) dagli anni ’70 conosciuto in tutto il mondo per la sua proposta di un comunismo pluralista e democratico molto diverso da quello sovietico, morì improvvisamente nel giugno 1984 per un ictus occorsogli nel corso di un discorso elettorale, i suoi funerali svoltisi a Roma il 13 giugno di quell’anno videro una enorme partecipazione di cittadini, due milione di persone, che vennero da tutta Italia per testimoniare il loro dolore e l’apprezzamento per la sua indiscussa moralità, ma anche per le idee di quest’uomo, per la sua speranza di una società non capitalistica, solidale, più giusta, più democratica. Oltre a una enorme massa di semplici cittadini, vennero ai funerali di Berlinguer leader politici da tutto il mondo. La delegazione sovietica era guidata da un giovane dirigente già in forte ascesa politica: Michail Gorbaciov.
Gorbaciov aveva conosciuto personalmente Berlinguer nel 1972, quando era un dirigente comunista sovietico di secondo piano: a Torino con la moglie Raissa, ospite della Festa nazionale dell’Unità (tradizionale appuntamento annuale di massa dei comunisti italiani), Gorbaciov aveva chiesto al dirigente comunista della città, Adalberto Minucci, di cui era divenuto amico, di poter conoscere personalmente Berlinguer e poter conversare a quattr’occhi con lui. «Perché – spiegò, secondo quanto ha scritto la biografa di Berlinguer Chiara Valentini – mi ha colpito molto, sul piano umano, il coraggio che ha dimostrato a Mosca nel 1969. Nel suo discorso ha detto cose che sino allora non si erano mai sentite pronunciare in pubblico». I due uomini si erano incontrati e avevano parlato quasi un’ora. Secondo Minucci, anche Berlinguer aveva mostrato interesse e simpatia per quel giovane comunista russo così fuori dagli schemi.
I rapporti di Berlinguer con i comunisti dell’Unione Sovietica erano quasi sempre stati conflittuali, soprattutto dopo l’invasione della Cecoslovacchia del 1968, quando egli propose una radicale presa di distanze non solo dall’invasione (come fece gran parte del gruppo dirigente del PCI), ma dalla stessa Unione Sovietica. Berlinguer nutriva una forte sfiducia nella possibilità dell’URSS di riformarsi e divenire più democratica. Nel 1969, da poco eletto Vicesegretario del suo partito (sarebbe diventato Segretario tre anni più tardi), aveva preso parte alla III Conferenza internazionale dei partiti comunisti che si svolse nel mese di giugno a Mosca. Il discorso di Berlinguer aveva avuto notevole eco in tutto il mondo: per la prima volta dai grandi dibattiti degli anni ’20 un partito comunista aveva avanzato in un consesso comunista internazionale una proposta politica alternativa a quella sovietica, ribadendo la condanna dell’invasione di Praga. La sua posizione aveva evidentemente colpito Gorbaciov.
Qualche anno dopo, nel 1977, sempre a Mosca, davanti ai partiti comunisti di tutto il mondo convenuti per ricordare il 60° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, Berlinguer rivendicò la scelta per la democrazia fatta già da tempo dai comunisti italiani, definendola «il valore storicamente universale sul quale fondare un’originale società socialista». Come tutti i giornali del mondo, anche il New York Times riprese quelle affermazioni con grade clamore. Anni dopo Gorbaciov commenterà questo discorso di Berlinguer dicendo: «Molti di noi hanno ricordato a lungo quel giorno e conservato la copia della Pravda con il suo discorso».
Nella sua carriera di dirigente comunista semiperiferico Gorbaciov aveva dunque guardato più volte con interesse a Berlinguer e alle sue idee di un comunismo riformato. Ma Berlinguer era morto nel 1984, mentre Gorbaciov era divenuto Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica (l’ultimo della storia) solo nel 1985. Eppure molti tratti della sua azione politica possono essere almeno in parte fatti risalire all’influenza dei comunisti italiani: non solo a Gramsci – che Gorbaciov almeno in parte conosceva –, o a Palmiro Togliatti, molto noto in URSS, ma anche a Enrico Berlinguer. Inaugurando quello stesso anno la “perestrojka”, Gorbaciov ebbe a riconoscere pubblicamente questa influenza svolta su di lui dal Pci e da Berlinguer e la giustezza delle critiche di quest’ultimo ai comunisti sovietici: «Guai ai comunisti italiani – dichiarò – se non avessero avuto la capacità di guardare alla realtà e di muovere le critiche che hanno mosso. E guai a noi se ci avessero lasciati soli. Abbiamo un debito di gratitudine verso Berlinguer anche per questo».
In che cosa è possibile rintracciare l’influenza del comunismo democratico italiano sulle idee di Gorbaciov? In primo luogo nel campo della politica internazionale. Berlinguer era stato uno strenuo sostenitore dei processi di “distensione”, di pace, che si ebbero in Europa fino a metà anni ’70; aveva sostenuto la necessità di “superare” sia la Nato che il Patto di Varsavia; sia era battuto con decisione contro la ripresa della corsa al riarmo atomico.
Ancora, Berlinguer aveva sostenuto (convergendo su questo con il leader socialdemocratico svedese Palme e con il leader socialdemocratico tedesco Brandt) la necessità di un «governo mondiale» dell’economia e dei grandi processi che riguardavano i pericoli di morte per fame e per sete di tanta parte del pianeta.
Ebbene, questi due obiettivi erano condivisi dal leader comunista russo: Gorbaciov come Berlinguer voleva lasciarsi alle spalle la “guerra fredda” per contribuire a costruire – di fronte agli enormi problemi dell’umanità – un mondo di collaborazione, di pace, di progresso condiviso tra tutti i popoli, in nome di una “interdipendenza” che abbracciava tutti i paesi. Aveva ad esempio ordinato il ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan, quando l’inizio dell’invasione nel 1979 era stato per Berlinguer un motivo di quasi definitivo distacco dall’URSS, che avvenne poco dopo a causa del golpe del generale polacco Jaruzelski del 1981. Berlinguer dichiarò che i valori democratici erano irrinunciabili e, criticando l’indiretto intervento sovietico in Polonia, affermò che la “spinta propulsiva” della Rivoluzione del 1917 si fosse ormai esaurita.
Gorbaciov e il Pci convergevano poi sull’importanza crescente da assegnare al ruolo politico dell’Europa. Gorbaciov intendeva legare l’Unione Sovietica all’Europa e i comunisti italiano erano certo favorevoli a questo processo. Berlinguer aveva determinato la scelta europeista del suo partito, tanto da attirare come indipendente nei gruppi parlamentari del PCI Altiero Spinelli, il fondatore dell’idea di “unione europea”, l’autore del Manifesto di Ventotene con cui – già nel corso della II guerra mondiale – fu lanciata l’idea di una Europa unita. Al contrario, il movimento comunista internazionale, di cui Berlinguer aveva visto con acutezza la crisi irreversibile dopo che i sovietici avevano respinto la proposta dei comunisti italiani di una “unità nella diversità”, sembrava anche a Gorbaciov qualcosa di ormai superato. Il leader comunista italiano aveva per tempo sostenuto la necessità di un nuovo schieramento internazionalista, composto non solo da comunisti, ma anche da movimenti di liberazione, da socialdemocratici di sinistra, da paesi “non allineati”. Un ampio fronte di lotta capace di ripensare – potremmo dire oggi – il socialismo per il XXI secolo.
Sul piano interno, Gorbaciov annunciò una serie di riforme molto vicine a quelle che per tutti gli anni ’70 erano state auspicate dai comunisti italiani: una graduale democratizzazione delle strutture politiche del suo Paese, l’instaurazione finalmente di uno Stato di diritto socialista, la separazione del partito dallo Stato, una apertura al mercato, che doveva coesistere con altre forme di proprietà dei mezzi di produzione (statale, cooperativa, ecc.). Tutte riforme che erano vicine all idee-forza dell’“eurocomunismo”, il movimento per un comunismo democratico che Berlinguer aveva lanciato negli anni ’70, suscitando l’ira dei predecessori di Gorbaciov, in primo luogo Breznev.
Berlinguer nella sua opera riformatrice non aveva mai smesso di essere comunista, anche se democratico. Ugualmente Gorbaciov, negli anni in cui fu un protagonista della politica mondiale, dichiarò sempre di non intendere mettere in discussione i fondamenti della società sovietica, ma di volerla modernizzare e democratizzare.
A metà degli anni ’80, grazie a Gorbaciov, cambiò il giudizio dei comunisti italiani sull’URSS. Forse Berlinguer si era sbagliato, forse il sistema sovietico non era irriformabile. Gorbaciov stava dimostrando che era possibile cambiarlo. Gli incontri tra Gorbaciov e il nuovo segretario Natta o altri dirigenti comunisti italiani di primo piano in quegli anni erano circondati da un’aura di ottimismo e reciproca collaborazione. Finalmente un comunista russo parlava il linguaggio politico dei comunisti italiani!
In occasione della visita di Stato in Italia del novembre-dicembre 1989, un comunista italiano poteva davvero credere di vedere per le strade di Roma “lo spirito del mondo in automobile”, per parafrasare la frase di Hegel quando vide Napoleone a cavallo, dopo la battaglia di Jena: un leader che stava cambiando la scena politica internazionale.
Fu un’illusione. In realtà il giudizio di Berlinguer si dimostrò di lì a poco giusto: l’URSS si dimostrò irriformabile. Gorbaciov fu sconfitto. Anche per i suoi errori, probabilmente, per il suo voler incidere rapidamente sulla società e sullo Stato sovietico. E anche per la gravità della situazione economica e politica del suo paese, che avrebbe richiesto di molto tempo per essere sanata. Ma anche per il “tradimento” delle forze del capitalismo occidentale e della Nato, di cui aveva fatto l’errore di fidarsi troppo.
Il tentativo di Gorbaciov di cambiare l’Unione Sovietica, rinnovando i principi comunisti alla luce di ineludibili esigenze di liberalizzazione politica e riforma economica, fallì anche perché l’Occidente capitalistico non lo volle aiutare in questo tentativo, facendo prevalere il desiderio del capitalismo di estendere a tutto il pianeta il proprio controllo e aumentare i suoi margini di profitto.
Ma con il fallimento del generoso tentativo di Gorbaciov i problemi non furono risolti, ma solo tragicamente rinviati, e tornano oggi: i problemi della guerra, della crisi economica, del ritorno dei nazionalismi, della fame e della sete del mondo. Se le idee di Berlinguer e di Gorbaciov avessero vinto, il mondo sarebbe andato in tutt’altra direzione. Oggi le speranze legate ai loro nomi sembrano morte e sepolte. Ma i temi che essi avevano visto e posto all’attenzione internazionale sono restati tutti intatti davanti a noi.

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