Papa Francesco da anni parla di un III conflitto mondiale a pezzi. Uno di questi è l’Ucraina. Ma colpisce il silenzio con cui vengono accolte le sue riflessioni. La sconfitta della politica arriva da lontano, quando non si è più creduto nel cambiamento
 Fausto Bertinotti
La guerra ha dato scacco matto alla po- litica. La devastazione di umanità è all’opera drammaticamente. Ciò che resta della politica, che è proprio poco,
si interroga sulla colpa di Putin, sulle corre- sponsabilità dell’Occidente, su come trovare uno sbocco alla guerra che devasta il popolo ucraino. Credo sarebbe bene per l’oggi e an- cor più per l’indomani, far crescere una ri- cerca parallela sulle cause per la quali siamo giunti a questa catastrofe, incominciando dal vuoto della politica. La ricerca della potenza perduta ha messo gli Stati sulla cattiva strada. Ciò che manca non è certo la potenza econo- mica né quella militare, ciò che è andata per- duta è la potenza del pensiero politico. Né ci si può fermare ai primi stadi del fenomeno. Nel mondo, nel secondo dopoguerra, la logica di potenza si impadronisce degli Stati quando viene meno la grande politica, un tempo essa si chiamava di coesistenza pacifica, che è poi la politica della pace. Per l’Europa sarebbe il costituirsi politicamente secondo la sua voca- zione di ponte tra nord e sud, tra est e ovest.
“L’Europa delle traduzioni”, diceva Étienne Balibar, l’Europa della neutralità come forza di pace nel mondo intero, si potrebbe aggiun- gere. Al suo interno, anche solo per potersi costituire come tale, essa dovrebbe pure ri- scoprire la grande politica. Ricordate Vento- tene? Quello è in primo luogo la capacità di pensare e di perseguire un’alternativa all’at- tuale modello economico, sociale, demografi- co, attraverso la rinascita della politica e della messa a valore del conflitto, a partire da quel- lo delle idee.
Ora, siamo di fronte a una crisi non solo dei soggetti politici, ma proprio della politica. Per come l’abbiamo conosciuta e vissuta nella seconda metà del Novecento, dopo la vitto- ria sui nazifascisti che, anche con le costitu- zioni democratiche, sembrava poter avviare un nuovo ciclo nel mondo intero. I sociologi e gli economisti li hanno chiamati i trent’anni gloriosi, quella storia lì era nuova ma si fonda- va sul Novecento ed è finita con il Novecen- to. Finisce con una sconfitta delle forze che in forme diverse avevano pensato a un nuo- vo mondo, in forme diverse perché in fondo era quello che aveva costituito anche il pat- to costituzionale in Italia, cattolici in politica, comunisti, socialisti, le componenti laiche ne erano state protagoniste.
Quel fronte perde per due ragioni: una interna, mi riferisco soprattutto alle forze del Movi- mento operaio, che dopo la grande speranza del cambiamento radicale negli anni Settanta non ce la fanno a compiere il passaggio del- la costruzione di un nuovo modello di civiltà. Esse perdono contro una rivoluzione restau- ratrice, che prima si chiama “globalizzazione capitalistica”, e dopo si chiamerà “capitalismo finanziario globale”. Questo vince la partita anche perché con il Novecento crolla quell’U- nione sovietica, la cui presenza malgrado gli errori e gli orrori drammatici che l’hanno por- tata alla sconfitta, testimoniava la possibilità di un mondo diverso e premeva sul capitali- smo affinché cercasse un compromesso da questa parte del mondo con le classi subal- terne. Quindi, il crollo ha radici interne per- ché c’è un limite delle forze e dei movimenti riformatori in Occidente e crolla per ragioni esterne, la fine del mondo diviso in due bloc- chi contrapposti, la fine dell’Unione sovietica e l’aumento di questo nuovo capitalismo.
Questo processo ha divorato la politica, la politica è diventata semplicemente la go- vernabilità dell’Occidente e altrove l’af- fermazione dell’autoritarismo, non c’è più l’orizzonte, non c’è più la speranza, la possi- bilità di confidare in un altro tipo di giustizia, di libertà, di umanità, quella che a cui pen- sava l’art. 3 della Costituzione repubblicana. Il nuovo capitalismo che sta avanzando ha una condizione più grande del precedente, quasi antropologica, quella di creare l’indivi- dualismo del mercato. E così, la drammati- ca scomparsa della politica fa sì che l’unico testimone critico di questa ambizione, in questo tempo drammatico, dotato di auto- revolezza, sia il Pontefice. Sono le encicliche di Papa Francesco, sono la sua testimonian- za quotidiana. Viene subito in mente la diffe- renza radicale con la stagione in cui viveva la politica. Viene in mente un altro grande pon- tefice, Giovanni XXIII. Ma quel Papa interlo- quiva con la politica. Oggi, il Papa parla nel deserto, tanto che per molti il suo messag- gio viene equivocato come politico, quando invece semplicemente è testimonianza del Vangelo. Un elemento devastante nel rap- porto tra la politica e il popolo è la scom- parsa della sinistra politica e con essa della speranza. Si capisce che tanta parte di gen- te comune possa in questo deserto essere attratta dal conflitto orizzontale, dalla paura dell’immigrato, dal leghismo, dal populismo, che sono gli effetti e non la causa di questa crisi profonda. Il vuoto è spaventoso, non c’è
più una parola forte che pesi nella società, nella politica da parte della sinistra.
Nella crisi si è fatta avanti allora una supplenza, molto preoccupante è che questa supplenza sia una tendenza a un governo tecnico-oli- garchico, cioè a un ulteriore approfondimen- to della crisi della democrazia rappresentativa, con il popolo investito da una destrutturazio- ne. Ogni volta, lo svuotamento della democra- zia è dettato da uno stato di necessità, siamo in un’emergenza permanente. La causa prima non è il covid, che casomai la amplifica, non è neppure la tragedia disumana della guerra, che è pure il male assoluto, ma è il modello so- ciale che genera povertà e fratture sociali. Guardando alla politica ci si chiede come si è arrivati a questa catastrofe che la guerra di Putin ha determinato e messo in rilievo, quali sono gli interessi in campo, cosa continuiamo ad attenderci da questo braccio di ferro den- tro l’Europa. La causa prima, la causa lontana, ma pesante, di questo sbocco tragico è l’ingo- vernabilità. La realtà dei fatti su tutto lo scac- chiere mondiale propone sistematicamente l’inesistenza di una capacità di governo dei conflitti, la diffusione dei conflitti anche ar- mati e l’instabilità permanente. Bisogna cer- to sottrarsi alla sollecitazione dei nostalgici del mondo diviso in due blocchi contrapposti, in cui la pace paradossalmente era presidia- ta dal reciproco ricatto della guerra atomica. Però ho il dubbio che quel terribile governo sia stato sostituito da un disordine sistemati- co, permanente, dal vuoto della grande poli-
tica. Si può solo citare sempre il Papa che, in solitudine, ha parlato della Terza guerra mon- diale a pezzi. Pare possibile che una delle più alte autorità mondiali del mondo usi una de- finizione così drammatica e non incontri sul campo un solo capo di Stato, un leader poli- tico autorevole che si confronti con quest’a- nalisi anche per dirgli: “Santità, lei si sbaglia”, oppure per dirgli: “Santità, ha ragione, dob- biamo correre ai rimedi”. Niente. Il Papa ha parlato con quell’autorevolezza nel silenzio della politica e i fatti sono andati avanti. Ter- za guerra mondiale a pezzi, e oggi uno di que- sti pezzi drammaticamente è l’Ucraina, ieri potevano investire, nella distrazione genera- le, l’Africa centrale. Gli ingressi immediati di micropotenze e anche di conflitti barbarici si affermano in assenza della grande politica su scala mondiale. C’è qualcuno che in questa crisi si sia accorto dell’esistenza delle Nazio- ni Unite? Anche le Nazioni Unite erano figlie di una visione che avrebbe dovuto inaugurare una nuova epoca, l’epoca della pace universa- le. Guardiamo com’è fallita la grande illusio- ne secondo cui il crollo dell’Unione sovietica avrebbe determinato il mondo delle libertà. Invece si è rivelato progressivamente il mon- do dell’incertezza, della precarietà, della dise- guaglianza, che è cresciuta nel mondo come all’interno dei singoli Paesi, ed è questo che determina l’incertezza fondamentale insieme a quell’economia di rapina che le grandi po- tenze hanno applicato anche alle nuove mate-
In questo scenario, può sempre prodursi l’e- vento tragico della guerra, solo che a noi la guerra impressiona quando è vicina e ha con- seguenze economiche sulla nostra vita. Lon- tana ci appare meno drammatica. Senza intendere invece che è proprio in questo di- sordine che si produce la contesa per l’acqui- sizione delle risorse fondamentali da parte dei potenti e la contesa per chi deve essere il più potente tra i potenti. È il ritorno regressivo a un passato che credevamo lontano. Risorgo- no da lì i più feroci nazionalismi e l’idea dello Stato forte; Stati forti che confliggono tra loro nella logica di potenza. I nazionalismi e la lo- gica di potenza sono i “nuovi fattori del rischio” su scala mondiale. Essi si intrecciano ai rischi che si producono all’interno delle singole so- cietà. Ogni volta che si produce un clima di crisi acuta, sia endogeno che esogeno, questo cau- sa un aggravamento delle diseguaglianze e una disintegrazione dell’unità dei popoli. La crisi è come la dilatazione della tendenza in corso che si vede meno quando non è in atto il ma- nifestarsi in pieno di una crisi. È stato così con la pandemia, è così tragicamente con la guerra, può essere così con le conseguenze della crisi energetica. Le diseguaglianze vengono alimen- tate dallo sviluppo nella crescita e vengono di- latate nella crisi, ma è il modello economico e sociale che va messo in discussione se si vuole perseguire la pace come la salvezza del piane- ta. Basti pensare all’ultimo episodio energeti- co e alle sue conseguenze sui prezzi. È solo un esempio, naturalmente. C’è un aumento consi- stente nelle tariffe, ma noi, negli anni, ci siamo preclusi l’intervento pubblico nell’economia. Ci siamo preclusi la possibilità di fare politiche ta- riffarie pubbliche contro la logica di mercato e in favore di promozione di attività e realtà so- ciali ed ecologiche. Ora questo disastro tariffa- rio colpisce le famiglie e le imprese. Per poter fare una politica di sostegno nei confronti di
questa emergenza energetica, si dovrebbe pen- sare a una politica fiscale totalmente diversa da quel-
la in atto, in grado di colpire efficacemente le grandi ricchezze, a partire dall’accumulo di ricchezze prodotto in questo periodo, e ridistribuirlo a favore degli Stati più disagiati. Altrimenti, siamo sempre a discutere
sugli indici di bilancio che inibiscono qualunque politica sociale decente. Questo nell’immediato. Più di fondo, una potenza come la Germania ha pensato a una politica che puntasse a
un’energia pulita, anche tra molte contraddizioni; noi abbiamo costruito Ministeri sempre privi di opzioni di fondo, senza pensare a quale connessione, tra le nuove politiche ener- getiche e le nuove politiche sociali necessarie. Chi paga i prezzi economici della riconversio- ne energetica nella transizione? Se si pensa che la paghino i ceti popolari, allora si deve avere una politica di distribuzione della ricchezza per impedirlo: serve una grande riforma. La politi- ca dimostra la sua inutilità, precisamente nella mancanza di una visione strategica. Vale a livel- lo mondiale, nella mancanza di qualunque for- ma di avvio di una politica di governo mondiale, sia nelle realtà nazionali, in queste in Europa si è affermata l’idea di sostituire i governi politici con governo di fatto tecnici. Il governo tecnico fa scelte che vorrebbe neutrali, ma in realtà es- se sono sempre di classe.
A livello mondiale, la guerra sancisce dram- maticamente il fallimento della grande politica. Dentro ogni singolo Paese, la stessa deficien- za produce la crisi sociale e la crisi delle sog- gettività necessarie a pensare a un popolo nel mondo. Il governo fa scelte che vorrebbe neu- tre, quando sono di classe. La mancanza sulla scena internazionale di una visione del mon- do nuovo vede occupare questo vuoto dal ri- torno del primato di una politica di potenza e dall’esasperazione dei nazionalismi. Chi vuole la pace, oltre a impegnarsi qui e ora per ferma- re la guerra di Putin in Ucraina, deve proporsi di sconfiggere l’uno e gli altri. La pace riposa in primo luogo sull’idea di una nuova politica.
 

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