Andrea Schianchi – IL COMUNISTA CHE ALLENÒ PELÈ –Absolutely Free Libri
Ci sono storie che vanno oltre la dimensione prettamente sportiva, storie poco conosciute, magari volontariamente messe dentro l’oblio del tempo ma che meritano invece di essere riscoperte. Magari solo per comprendere qualcosa in più dietro ad un mito o ad un successo sportivo, oppure perché raccontano al loro interno la storia di un Paese ed un momento a metà tra gioia sportiva, voglia di riscatto di una nazione e dramma per l’avvento di un regime dittatoriale. E la storia che il giornalista Andrea Schianchi ha messo in questo libro e che riflette quanto sopra detto.
Brasile fine anni ’60, la Seleçao oro verde vuole riscattare l’onta dell’eliminazione al primo turno dei mondiali d’Inghilterra del 1966. Il giocatore più forte al mondo e rappresentativo del Paese si trova nella strada del tramonto, ma vuole dimostrare ancora di saper trascinare la sua nazionale alla vittoria nei prossimi mondiali di Mexico 1970. In questo quadro sportivo si inserisce un regime dittatoriale sempre più invasivo e che vede lo sport come forte veicolo di propaganda e di consenso. Per questo i militari non possono permettersi che Pelè e compagni falliscano il prossimo appuntamento mondiale; qualcosa che si ripeterà qualche anno dopo nella vicina Argentina della giunta militare del generale Videla, ma questa è un'altra storia. Nel Brasile di qualche anno prima, il timone della nazionale che deve vincere ad ogni costo viene affidato ad un ex giornalista sportivo che, messo via il taccuino, aveva indossato nel 1957 la tuta di allenatore alla guida del Botafogo di Garrincha e lo aveva portato alla vittoria del campionato statale, per poi dimettersi per protesta di fronte alle cessioni di Didì e di altri pezzi pregiati. Dieci anni dopo, con il placet della giunta militare al potere, il presidente della federazione calcistica brasiliana Havelange gli offre l’incarico di forgiare una seleçao vincente per la spedizione messicana. E fin qui la storia può sembrare alquanto normale. Ma il libro di Schianchi e il suo stesso titolo mettono in evidenza l’ “anomalia” di tale fatto, ovvero quello di una potere militare fascista che sceglie alla guida della Seleçao un uomo come Saldanha, iscritto al partito comunista brasiliano. Uno che in gioventù aveva attivamente partecipato, come dirigente di partito e come sindacalista, a varie manifestazioni in difesa delle classi sociali più deboli e sfruttate. Talvolta anche rischiando la vita negli scontri, con una pallottola che gli rimase per sempre incastrata dentro frutto di un repressione poliziesca. Insomma il “mistero” che il libro di Schianchi e il titolo stesso mette in evidenza riguarda la scelta di un governo brasiliano dell’epoca che aveva praticamente messo in atto una dittatura militare, con violente repressioni enegazioni dei basiliari diritti. In una prosa asciutta e molto chiara, Schianchi prova anche a fare alcune ipotesi, non ultima la capacità di Saldanha di creare un gruppo e renderlo un unicum per raggiungere il traguardo della coppa Rimet. Resta il fatto che Joao Saldanha sarà l’allenatore che riuscirà a creare un modulo di gioco dove cinque numeri dieci riusciranno a stare insieme in campo, con “O Rey” Pelè in testa. Sarà colui che guiderà il Brasile ad un girone di qualificazione trionfale ed ad una serie di amichevoli dove il Brasile si permetterà il lusso di battere al Maracana anche l’Inghilterra campione del mondo in carica. E a quel punto quell’ex giornalista comunista che guida la Seleçao diventa l’idolo di un paese. Forse troppo idolo. Così osannato e acclamato da tutti da diventare ingombrante e non più funzionale agli obiettivi propagandistici del regime. Fatto sta che ne “Il Comunista che allenò Pelè” il racconto dei fatti sportivi va in parallelo con quelli di cronaca e le vicende politiche che portarono ancora di più il Brasile nel baratro della dittatura. Proprio perché, in questa escalation di eventi, anche Saldanha comincia ad avvertire che la sua figura di selezionatore della nazionale brasiliana stia diventando di troppo per il regime e per lo stesso Havelange. Anche perché lui non fa nulla per conquistare le simpatie della giunta militare. Anzi, spesso entra in contrasto aperto con tutti perché Saldanha è uno che non si piega facilmente ai diktat ma cerca di mantenere una sua coerenza politica e una sua fermezza anche di fronte alle pressioni che sempre più gli arrivano dai vertici sportivi e politici, come di una certa stampa filoregime. L’epilogo di questa storia è ben noto. Saldanha viene allontanato dalla guida del Brasile proprio due mesi prima dell’inizio dei mondiali di calcio in Messico. La panchina fu affidata a quel Mario Zagallo che da giocatore aveva vinto i mondiali del 1958 e 1962. E Zagallo si trovò praticamente già pronta una squadra che sarebbe andata con il pilota automatico fino alla vittoriosa finale contro l’Italia di Valcareggi. E quel giorno allo stadio Azteca, Joao Saldanha era lì comunque a seguire la sua “creatura” : da una tribuna stampa e con di fronte una macchina da scrivere per raccontare dell’ultima vittoria della Rimet da parte di Pelè e dei suoi compagni. Ma a differenza di quella di Saldanha, questa è invece una storia ben più nota e che si conosce fin troppo bene.
Antonello Tacconi

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