La morte di Pier Luigi Frosio, il Lord Capitano, per antonomasia, del Perugia
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Dire Frosio é come dire "Perugia dei Miracoli". Della squadra, cioé che per anni navigò alla grande in serie A e che si fregiò persino del titolo di "imbattibilità" nel 1978-79, quando concluse il torneo seconda in classifica alle spalle del Milan.
Pier Luigi di quella squadra é stato il capitano - anzi per dirla con Franco D'Attoma, sempre arguto - il "colonnello". Di lui in campo si potrebbe citare il verso "ei sta come torre che non crolla".
Invece la morte, che non rispetta alcuno, se l'é portato via poche ore fa, a Monza, la sua terra d'origine, dove era ricoverato in ospedale da alcune settimane. Lascia la moglie Nadia ed i figlio Alex (apprezzato giornalista sportivo), cresciuto, almeno per i primi passi, proprio nella cittá del Grifo, nella stagione d'oro dei colori biancorossi.
La crifra di Frosio, 73 anni (era nato il 20 settembre 1948) consisteva nell'eleganza, nella signorilità. Non solamente nel gesto atletico e tecnico, sul terreno di gioco, ma pure fuori. Un "lord", come venne etichettato con un altro nomignolo. Con la maglia biancorossa ha disputato 323 partite (tra A e B) e segnato 8 reti e rimane con 170 gare disputate il giocatore con maggiori presenze in A della storia del club umbro.
A Perugia era arrivato da Cesena (con cui aveva esordito nella massima serie) quale stopper. Ben presto, tuttavia, Ilario Castagner lo aveva trasformato in libero. Sulle prime il calciatore lombardo aveva accettato "obtorto collo", per poi ammettere, piú tardi, che grazie all'allenatore la vita calcistica gli era stata allungata di brutto. Nel ritiro di Norcia non aveva nascosto ai cronisti i suoi timori nell'affrontare il nuovo ruolo: "Ho una paura tremenda di fallire e di finire tra le riserve..."
Invece divenne, ed in serie A, un battitore libero con i fiocchi.
Mai visto perdere l'aplomb. Neanche la volta che colpì una traversa, mi pare con l'Ascoli, e la partita finì in pareggio (1-1).
Figurava anche tra gli animatori del giornalino dei calciatori, "Fuorigioco", otto pagine, formato tabloid. Nato con una qualche venatura anti-giornalistica ed alla stesura del quale partecipavano pure le fidanzate e le mogli dei biancorossi. Ci si "pizzicava", amichevolmente e con rispetto, giocatori su un fronte, cronisti dall'altro. Glissavo, quando possibile, sugli erroracci sintattici e grammaticali del foglio (la mia rubrica si chiamava "Cosa scrivono gli altri"), che comunque rappresentò, per l'epoca, una bella e significativa iniziativa. Certo quando Orvieto venne catalogata come località fuori dall'Umbria, abbaglio di geografia o quando Brancaleone da Norcia venne inserito - strafalcione di storia - nell'elenco dei capitani di ventura della nostra regione, redattori ed editori del giornalino non fecero una bella figura. Ma Piero, in quei pastrocchi, non c'entrava per nulla.
Ricordo che al suo primo gol in biancorosso - correva il 1976, se non sbaglio -, rete descritta "alla brasiliana" e per la quale Frosio fu festeggiato con un abbraccio da un nugolo di compagni tra i quali spiccavano Nappi, Ceccarini, Vannini, Curi, Scarpa, titolai per restare in tema "Pierluigi da Monza, della serie capitani coraggiosi".
In dieci anni di milizia biancorossa non si contano i colloqui e le interviste concesse. Sempre misurato nei modi e nei contenuti. Ma anche fermo e deciso, quando trattava, per se stesso e per gli altri compagni di squadra, quasi da sindacalista del pallone, gli interessi economici. La controparte - i dirigenti del club - gli davano dell'intransigente. Ma difficilmente la spuntavano, con lui.
Alto (1.82), snello, occhi azzurri: le tifose perugine - e pure le loro madri, suocere in pectore - andavano pazze per lui. "Biondo era e bello e di gentile aspetto": si attagliano pure a lui le rime che il sommo Dante dedica a Manfredi di Svevia.
Mi colpì come fosse orgoglioso del figlioletto - forse perché ero diventato padre anch'io, pochi mesi dopo - e quanto fosse innamorato della moglie e legato alla famiglia.
Lasciata Perugia, passò al Rimini. Prima di scendere in Umbria aveva militato nella Pro Sesto, nel Legnano, nel Rovereto e, come detto, nel Cesena. Tornò a Perugia per allenare le giovanili e poi guidò, da tecnico, Monza, Atalanta, Modena, Como, Ravenna, Novara, Padova, Ancona, Lecco. Gli sarà dispiaciuto non essere chiamato alla guida del Grifo. Ma da signore quale era, si era tenuto, nel cuore, il rincrescimento, il disappunto.
Per gli amanti del Grifo resta "il capitano", tout court. E, nella dimensione in cui si trova, continuerà a gestire da par suo il pacchetto arretrato.
Ciao, Piero.

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