Perugia, il calcio tra conti e soldi Ma guai a snobbare feeling e amore
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Il Perugia sabato al Curi (ore 16,25: lo spezzatino degli orari continua ed impera) dovrebbe presentarsi con tutti gli effettivi (a parte Carretta) e Massimiliano Alvini dovrebbe poter schierare la formazione "tipo" e comunque la migliore possibile. Sembra che il tecnico sia intenzionato a varare un 3-5-2 - sebbene abbia affermato, scherzando, non si sa fino a che punto - che per lui i moduli non hanno significato e che, a suo parere, valgono alla stregua di prefissi da cellulare - con Chichizola tra i pali, con Angella al centro della difesa ed ai fianchi Sgarbi (o Curado o Rosi) e Dell'Orco, Burrai, Kouan e Segre in mezzo, Falzerano e Lisi sulle fasce ed il duo De Luca-Matos che, almeno in questa fase, appare come il più affidabile ed accreditato.
Il tema delle ultime ore, tuttavia, é risultato il monte ingaggi delle squadre della cadetteria e di come chi ha speso di più non si trovi ai vertici della classifica. Tutti i quotidiani, non solo locali, ci si sono tuffati a pesce, sguazzandoci. L’aspetto, in realtà, é vecchio e conosciuto sin dai tempi in cui Berta filava. Le statistiche, dunque, mettono in evidenza che il Parma, primo negli ingaggi dei giocatori in graduatoria (con 32 milioni e mezzo spesi) sta messo maluccio, mentre il Cittadella, ultimo (3 milioni e 100mila euro) veleggi in zona play off. E si sottolinea che il Perugia, al terz’ultimo posto, si collochi piuttosto in dodicesima posizione. Non male, insomma.
I dati non scatenano nessuna meraviglia, non rilevano alcuna stranezza. Il calcio, infatti, non risponde a criteri matematici, ma vede piuttosto l'implicazione, in termini di risultati, di numerosi fattori, spesso addirittura extracalcistici. I più maturi ricorderanno come i grifoni, negli Anni Settanta, salirono in A con una squadra che, sulla carta, non appariva particolarmente competitiva: giocatori sconosciuti o presi a ... saldo, un allenatore pescato nelle giovanili dell'Atalanta, la società appena uscita, per sua fortuna indenne, da un gravissimo scandalo sportivo-giudiziario.
L’attuale società biancorossa ha fatto subito trapelare, comunque, che il costo globale della stagione, a fine torneo, scavalcherà i 10 milioni di euro. A fronte di introiti tra diritti tv (6 milioni), sponsor (1,2 milioni) e biglietti (800 mila euro) che superano appena gli 8 milioni. Certo sarebbe stato interessante conoscere il bilancio nota per nota, voce per voce - anche sulle uscite - per una valutazione complessiva della gestione manageriale pro-tempore. Resta preoccupante - sempre che le cifre corrispondano al vero - come faccia il club che avrebbe chiuso il 30 giugno 2021 con un disavanzo di 2 milioni e mezzo, a reggere il passo con altri 2 milioni di debito che si profilano alla scadenza del prossimo giugno. Quali strategie adotterà la proprietà? Vanta ancora a disposizione il “tesoretto” delle plusvalenze degli anni scorsi, quelli delle “vacche grasse”? O qualcuno dovrà mettere mano al portafoglio? E chi, semmai?
Una ulteriore problematica irrompe tra le riflessioni del giorno, in virtù di un commento sull’impoverimento del calcio italiano in generale, pubblicato sul Corsera dall’editorialista Mario Sconcerti, che affrontando l’analisi della fase-no della Nazionale Azzurra elenca tutta una serie di ragioni (troppi stranieri, vivai trascurati, eccetera, eccetera) e tocca anche un particolare elemento. Il seguente: “Una squadra non rappresenta più una città, ma la voglia personale di vincere di chi la segue. C’é più rabbia che piacere. E la comunicazione é sempre più di parte. Non é più un mondo comune, orizzontale. Le società sono persone estranee, non comunicano più, non parlano con la loro gente".
Tradotto crudamente: i club sono estranei alla comunità, puntano esclusivamente all’interesse economico. A Mammona. All’ambizione di questo o quel personaggio, di questo o di quel gruppo italiano, arabo, statunitense, cinese che sia.
La comunicazione dei protagonisti in campo non é più libera. É il club che, chissà con quali criteri, sceglie chi debba parlare e, forse, anche quali concetti debba veicolare. Fuori dai denti: il “feeling” diventa sempre più difficile da raggiungere o da mantenere. Tutto questo, aggiungendoci la mancanza di risultati, porta alla disaffezione, all’indifferenza, ad un calo costante di pubblico (una volta nutrito di passione, di amore, più o meno sviscerati, per i colori della propria città o regione).
E nel calcio, come nella vita reale, si può morire per troppo amore (se non corrisposto), ma anche per disamore, per l’inaridirsi e per lo spegnersi della passione, dell’ardore, dell’affinità.

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