di Maria Pellegrini.

Lorenzo Braccesi, già professore di storia greca negli atenei di Torino, di Venezia e di Padova e autore di numerosi saggi riguardanti vari aspetti della storia greca antica, ha rivolto il suo interesse anche ad alcune figure femminili dell’antichità romana e in particolare della famiglia Giulio-Claudia fra le quali Agrippina. Nata dal matrimonio di Giulia (unica figlia di Augusto e di Scribonia sua prima moglie), con Agrippa, amico e braccio destro di Augusto, era quindi nipote di Augusto. Di questa importante donna della famiglia imperiale è uscita nel 2020 una sesta edizione di una biografia a cura di Lorenzo Raccesi: “Agrippina, sposa di un mito” (edizioni Laterza pp.240, € 20,00)

Il “mito” dello sposo di Agrippina, cui allude Braccesi, è Germanico, valoroso generale romano figlio di Druso che, come suo fratello Tiberio (futuro imperatore), era nato da un precedente matrimonio di Livia con Tiberio Claudio Nerone, prima di diventare moglie di Augusto. Ricostruire la genealogia della famiglia Giulio-Claudia cioè quella che comprende i discendenti di Augusto (gens Iulia) e quelli dei figli di Livia (gens Claudia), è spesso un rompicapo tanto che nei volumi di storia di quel periodo sono inseriti schemi che ne indicano tutti gli incroci e gli sviluppi. Per il ripetersi dei medesimi nomi si è inoltre fatto ricorso agli aggettivi Maggiore e Minore per indicare l’ordine di tempo di molti appartenenti a queste famiglie. Premesso ciò, il personaggio femminile del libro di Braccesi, è Agrippina Maggiore che, come si è detto prima, era nipote di Augusto. Sposò il valoroso generale Germanico da cui ebbe nove figli tra i quali il futuro imperatore Caligola e Agrippina (chiamata Minore per distinguerla dalla madre) che sarà la madre di Nerone e sposa dell’imperatore Claudio.

Per chiarire chi sia Germanico si deve ricordare che Augusto, dopo la morte di suoi stretti familiari destinati a succedergli, adottò Tiberio (come si è detto, figlio del precedente matrimonio di Livia) e lo costrinse ad adottare a sua volta il nipote, cioè il figlio di suo fratello Druso (anche lui figlio di Livia avuto dal suo precedente matrimonio), un generale famoso per le sue vittorie in Germania dal 12 al 9 a. C. Si spinse fino al fiume Elba, dove nessun altro romano era giunto mai prima di allora, portando devastazione in tutti i territori. Poi decise di tornare indietro e, sulla strada del ritorno, rimase ferito per una caduta da cavallo che gli aveva procurato la rottura della gamba e un'infezione tale da condurlo alla morte prima di giungere sul Reno. Il fratello Tiberio lo raggiunse percorrendo molte miglia nel più breve tempo possibile ma giunse appena in tempo per vederlo morire. Druso venne trasportato prima negli accampamenti invernali sul Reno poi fino a Roma. Il suo corpo venne esposto nel Foro romano e si tennero due orazioni funebri: Tiberio ne pronunciò una in quel luogo, mentre Augusto ne pronunciò un'altra nel Circo Flaminio. La sua salma venne quindi portata nel Campo Marzio . Qui venne dato alle fiamme e le sue ceneri furono poi depositate nel Mausoleo di Augusto con il tributo di grandi onori e l’attribuzione a lui e alla sua discendenza del titolo “Germanicus”, quindi fu esteso anche al suo figlio Druso Minore che come il padre, combatté guerre vittoriose contro i Germani dal 14 al 16 d. C. Adottato, come si è detto, da Tiberio divenne allora un membro della “gens Iulia” con mutato nome: Germanico Giulio Cesare, candidato alla successione imperiale

È lui lo sposo di Agrippina della quale Braccesi ci offre una biografia molto accurata basata su fonti storiche antiche di grande prestigio come Tacito, Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Plutarco, Cassio Dione e di altri, tutti citati con una breve cenno biografico nelle ultime pagine del volume.

Agrippina che aveva seguito il marito in Germania divenne molto popolare tra le legioni, la sua era l’immagine di una moglie fedele, virtuosa, prolifica ma anche impavida, capace di arringare i soldati in rivolta quando fu necessario. Era però una donna ambiziosa che voleva emergere e influenzare le scelte del marito Germanico, che con le sue vittorie e per l’ammirazione che godeva tra i soldati, cominciò a suscitare in Tiberio, che pure lo aveva adottato come erede, una grande gelosia¸ unita ad odio verso Agrippina per i numerosi figli che aveva generato e per l’abilità nel propagandare le imprese del marito e renderlo un eroe agli occhi di tutti, “un mito”. Il veleno di Agrippina non era quello che si diceva fosse stato usato da Livia per eliminare chi potesse avanzare il ruolo di successore di Augusto togliendolo a Tiberio, ma - come scrive Braccesi - “quello meno pernicioso di insinuare nei suoi nemici il germe dell’invidia”.

Agrippina da parte sua non poteva dimenticare la fine della madre (Giulia) relegata in esilio per condotta immorale dietro ordine di Augusto, e dell’atteggiamento di Tiberio, suo marito, che all’epoca del processo e della condanna aveva ostentato generosità e clemenza nei confronti della moglie infedele fino ad insistere perché le si lasciasse la dote, invece ora che era al potere si mostrò spietato. Uno dei primi atti da imperatore fu l’ordine di togliere all’esiliata anche la sovvenzione per gli alimenti che il padre le aveva concesso, adducendo a pretesto la mancanza di disposizioni testamentarie in proposito. In tal modo Giulia morí esule, disonorata, in miseria appena dieci mesi dopo che Tiberio aveva ottenuto il Principato.

L’odio di Agrippina per Livia e suo figlio Tiberio era alimentato anche per l’uccisione di suo fratello chiamato Agrippa postumo perché nato dopo la morte di Agrippa, orchestrata per eliminare l’ultimo possibile erede di Augusto con diritto al trono imperiale e ostacolare la successione di Tiberio.

Dopo la morte di Augusto nel 14 d. C. le legioni acquartierate sul Reno e quelle stanziate in Pannonia si ribellarono; in Germania reclamavano alla guida dello stato un “principe” eletto dalle legioni stesse «anticipando una prassi che diverrà sempre più abituale negli anni successivi», scrive Braccesi.

Le legioni urlavano a gran voce il nome di Germanico, lo volevano sul trono e non successore designato di Tiberio, ma egli decise, anche e probabilmente per proteggere la sua famiglia, di affermare la sua fedeltà all’erede designato.

Agrippina contava di poter fare leva sul consenso dell’esercito in virtù delle glorie militari di Germanico e di suo padre Druso. Indizi indicano che la vera istigatrice della rivolta militare fu Agrippina e non il marito che in quell’occasione mostrò lealtà all’imperatore.

Nel 17 d. C. fu assegnato a Germanico il comando sulle province orientali ma venne a contrasto con Gneo Pisone nominato da Tiberio governatore della Siria, probabilmente per controllare Germanico il cui successo lo metteva in ombra e di tenerlo a freno - considerando il suo carattere impulsivo - evitando attriti con i Parti. Tiberio temeva che, dopo i successi in Germania, Germanico istigato dalla intraprendente moglie desiderasse emulare Alessandro Magno in Oriente.

Nel 19 d. C. Germanico morì in circostanze misteriose e Pisone fu sospettato di averlo avvelenato. La verità sulle reali cause che portarono a quella prematura scomparsa non si conobbero mai, ma ci fu il sospetto che Tiberio fosse il mandante dell’avvelenamento, tanto più che Pisone morì suicida e ciò costituì uno dei principali motivi che resero Tiberio il successore di Augusto inviso alla popolazione.

Agrippina, tornata a Roma priva di quella protezione che era fondamentale nella famiglia Giulio-Claudia, accusa Tiberio di essere stato il mandante della morte del marito. Ciò dovette spaventare l’imperatore: geloso della memoria di Germanico, ricordato come un valoroso eroe, aveva timore delle ambizioni future degli eredi di quest’ultimo. Le paure di Livia e Tiberio non erano infondate poiché Agrippina divenne da “consorte di un eroe” a “vedova di un mito”. Forse istigato dalla madre Livia o dalle trame del  prefetto del pretorio Seiano, Tiberio prima emarginò progressivamente Agrippina dalla domus imperiale, poi la infangò con accuse di vario genere e quindi nel 29 d.C. la relegò. come la madre Giulia, in esilio a Ventotene, ove morì. Tacito ci lascia nel dubbio: si era lasciata volontariamente morire rifiutando il cibo o quel cibo le era negato? Era l’anno 33 d.C., Tiberio dispose che il suo corpo fosse occultato sotto terra e non deposto nel Mausoleo di famiglia. Il ricordo di Agrippina Maggiore, così come quello di Germanico, fu sempre tenuto vivo all’interno della sua famiglia e di altri che l’avevano stimata. La sua figura fu eternata su alcune emissioni di monete del figlio Caio, passato alla storia con il nome Caligola, divenuto imperatore nel 37, dopo la morte di Tiberio. 

A quel figlio va riconosciuto il merito di aver voluto rintracciare il luogo dove erano deposte le spoglie mortali di sua madre per trasportarle dove erano quelle di suo nonno Augusto, suo padre Agrippa e il marito Germanico, e vi pose una lapide che la commemorava.

Braccesi non si limita alla narrazione della vita della protagonista ma ci dà un innovativo ritratto di Agrippina inserendo le vicende biografiche in un puntuale quadro storico, un resoconto di quanto accade dalla ascesa al potere di Augusto alla morte di Tiberio e all’elezione di Caligola, un prezioso documento della prima metà del I secolo dopo Cristo, soprattutto una precisa descrizione degli intrighi, dei complotti per arrivare al potere o per mantenerlo da parte degli uomini che erano nell’entourage della corte imperiale. Sul terreno del potere politico, le donne cominceranno ad avere la loro indiscutibile rivincita a partire dal principato di Augusto. E sarà proprio sua moglie, la nobilissima Livia, a cominciare, nel bene e nel male, questa irresistibile ascesa, seguita da altre coraggiose e intraprendenti donne che tuttavia saranno punite da chi deteneva un potere maggiore di quello da loro conquistato.

Braccesi delineando la figura di Agrippina tiene conto di quanto la tradizione storiografica riporta, tradizione che si presenta sotto due aspetti, l’uno di ammirazione per la coppia Agrippina - Germanico attestata dalla grande folla accorsa a rendere onore all’arrivo a Roma della vedova con le ceneri del marito nel 20 d. C. tanto che, come leggiamo in Tacito «Tiberio fu ferito soprattutto dall’affetto e dall’entusiasmo per Agrippina, acclamata come gloria nazionale, unica discendente di Augusto, modello senza pari di antica virtù».

L’ altro aspetto che emerge dalla lettura del volume è quello di un giudizio negativo riportato sempre da Tacito che gli rimprovera l’interferenza della donna nella sfera pubblica e politica, e un atteggiamento prettamente maschile, negazione del modello matronale di Augusto: «Vero è che Agrippina, insofferente di stare alla pari con gli uomini, avida di potere, si era spogliata della fragilità femminile per assumere compiti e responsabilità virili».

Braccesi fa presente anche un cedimento nella tanto declamata concordia della coppia quando nel 14 d.C. si registra una diversità nell’atteggiamento di Agrippina rispetto a quella del marito, attestata da Tacito che documenta il rifiuto da parte di Germanico di assumere il potere attraverso l’aiuto delle legioni che gli avevano manifestato la loro fedeltà, mantenendo così la propria lealtà a Tiberio.

Il volume di Braccesi non è un testo di facile divulgazione. Lo dimostra la ricchezza di avvenimenti storici di cui non abbiamo qui dato conto. Inoltre nelle pagine finali i lettori possono trovare i nomi degli gli autori antichi, fonti delle notizie riportate, l’Indice dei luoghi e dei popoli e quello dei nomi citati nel volume, Cronologia degli avvenimenti, Bibliografia e Alberi genealogici delle famiglie Giulia e Claudia.

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