Lavoro, basta con le chiacchiere è il momento della realtà
di Fosco Taccini
I gravi fatti avvenuti in questi giorni riportano in primo piano la questione del lavoro e di una strage avvolta nel silenzio, che in molti casi trova posto solo nella cronaca locale. Inoltre la settimana scorsa, in occasione del 1 maggio, si è preferito dare risalto a questioni che con il mondo del lavoro e della vita reale non hanno nulla a cui riferirsi. Le lavoratrici e i lavoratori, che ogni giorno si alzano per affrontare le mille difficoltà collegate al lavoro continuano, pertanto, a non avere voce e a non essere tutelati.
È necessario parlare del lavoro come è, non su come si suppone che sia.
Prendere in considerazione il lavoro, vuol dire mettere al centro le lavoratrici e i lavoratori. Oggi, chi lavora – a parte alcuni casi – è sempre più solo e quasi invisibile da un punto di vista sociale e politico. Proprio perché il lavoro è stato completamente svalutato. In molti casi, il lavoro ha un valore inferiore alle merci che produce e trasforma. Nell’istante in cui le persone diventano merce, diventano sempre più ricattabili. Chi lavora diventa, in molte circostanze, sempre più povero perché a impoverirsi è il lavoro stesso. Da alcuni anni assistiamo alla moltiplicazione del neocaporalato, di nuove forme di cottimo e di lavori generati dalle piattaforme digitali. In questo caso chi lavora è vincolato in maniera più pervasiva di chi era vincolato alla catena di montaggio. Dal buio delle fabbriche si è passati all’oscurità degli algoritmi e computer. Il lavoro è meno tutelato non solo per il precario, per il lavoratore autonomo ma anche per lo stabilizzato.
È fondamentale ridare valore e centralità al lavoro. Un paese che non ha ben chiara la politica industriale, che non ha priorità produttive, non difende le sue lavoratrici e i suoi lavoratori.
Una società che svende il lavoro al minor costo e i lavoratori al più infimo offerente non ha un futuro. Mentre un Stato per i suoi cittadini dovrebbe creare lavoro buono per il bene comune. L’obiettivo non dovrebbe essere quello di lavorare molto in pochissimi, ma di lavorare in molti. Quello che serve, ma non c’è ancora è un nuovo modo di intendere il lavoro che riduca le diseguaglianze.
La politica deve smettere di dire che non sapeva che ci fosse anche ‘quella categoria di lavoratori’ e aprire gli occhi sulle molteplici trasformazioni del lavoro. Sarà necessario, perciò, governare e indirizzare la trasformazione. Per questo sarà necessario mettere al centro la qualità del lavoro e le condizioni.
Una società che ha a cuore le persone deve offrire occasioni di lavoro per tutti e un reddito che integri il welfare. Il neoliberismo, lo dimostra anche la crisi attuale, è sconfitto ma non smette di giocare la sua partita sulla vita delle persone: continua a provocare danni, impoverimento, disuguaglianze, distribuzione ingiusta delle ricchezze. Pertanto, è necessario un nuovo modello basato su giustizia economica, sociale e ambientale.

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