Sono, ormai, alcuni anni che gli interventi legislativi sul lavoro modificano in peggio le leggi di tutela del lavoro, dei diritti e  dei servizi di avviamento al lavoro.

Con la riforma del 2002 e successive modifiche fu decretata la fine degli uffici dell’impiego, gestiti dalle Province e poi dalle Regioni.

La motivazione di questa scelta fu l’accusa che gli uffici di collocamento non funzionavano e solo una 2/3% delle assunzioni erano promosse dal collocamento.

Furono soppressi i libretti del lavoro e le liste di disoccupazione, si aprì il collocamento ai privati e alle agenzie di lavoro interinale, cessava, di fatto, il controllo dello Stato sul mercato del lavoro.

A distanza di anni va detto che, comunque, il collocamento in Italia sia pubblico che privato non funziona, la maggior parte dell’assunzione avviene per conoscenze, amicizie e altro.

Le aziende ricorrono sempre più spesso al lavoro interinale (anche se questo costa di più), assumendo poi direttamente il personale interinale dopo un lungo periodo di prova.

I centri dell’impiego, di fatto, sono stati abbandonati a se stessi privi di tecnologie, formazione, collegamento tra uffici e relegati a un solo lavoro burocratico di registrazione dati.

È venuto a mancare sia ogni controllo sul mercato del lavoro, sia la funzione principale per cui sono stati creati: l’incontro fra la domanda e l’offerta di lavoro.

È chiaro a tutti che sia la crisi economica preesistente sia la pandemia del coronavirus, hanno peggiorato le condizioni del lavoro e portato alla diminuzione del personale: il blocco temporaneo dei licenziamenti ha solo in parte fatto fronte alla nuova situazione. 

Tra il febbraio 2021 e 2020 il numero degli occupati è sceso del 4,1 pari a 945 mila unità.

La diminuzione coinvolge uomini e donne, dipendenti -590 mila, autonomi -355 mila e tutte le classi di età. Il tasso di occupazione scende in un anno dei 2,2 punti percentuali toccando il 56,5.%.

Nell’ultimo mese si sono registrati segnali di tenuta con il tasso di disoccupazione 10,2 e per i giovani 31,6, migliorato degli 0,1 punti rispetto a gennaio. 

A fronte di tutto questo la destra in Umbria non arretra dalla sua politica diretta alla privatizzazione dei servizi fondamentali per i cittadini.

Infatti, dopo il settore sanitario, anche il servizio pubblico del lavoro rischia di perdere il suo ruolo centrale a favore dei soggetti privati.

Nel numero 34- marzo 2021- del mensile umbro di politica, economia e cultura Micropolis c’è un interessante articolo di Daniela Giuli che analizza il tentativo di privatizzazione del servizio del lavoro in Umbria da parte della Giunta regionale di centro destra.

“Il disegno di legge di modifica della legge regionale 1/2018 - sistema integrato  per il mercato del lavoro, l’apprendistato  permanente  e la promozione  dell’occupazione, istituzione  dell’agenzia regionale  per le politiche attive del lavoro,   approvato  a metà febbraio  dalla Giunta Regionale  Dgr: n°103 del 17.2.2021  propone  una sostanziale trasformazione  dell’attuale assetto  dei servizi  e delle politiche attive  del lavoro  in Umbria, dove  fino ad oggi, l’Arpal Umbria  e i centri per l’impiego  hanno svolto  un ruolo centrale  di governance  nella erogazione dei servizi  e delle misure  di politica attiva, collaborano, su specifici bandi  e a  specifiche condizioni  con soggetti privati.

Va ricordato che tutti gli interventi legislativi licenziati in questi anni in materia di politiche  del lavoro, dal pacchetto Treu in poi, si sono mossi in direzione  di una sempre maggior e più stretta sinergia tra soggetti pubblici e privati.

Tuttavia in Umbria, come nella maggior parte delle altre regioni, si è ritenuto comunque centrale lasciare le principali attività ai centri pubblici per l’impiego. Unica eccezione la Lombardia dove si è adottato un modello di competizione fra pubblico e privato.

E ovvio che in mancanza di paletti legislativi la situazione oggettiva potrebbe portare e autorizzare i soggetti privati all’erogazione di tutta la gamma dei servizi attualmente  offerti dal sistema pubblico. In teoria il cittadino disoccupato avrebbe la possibilità di rivolgersi indistintamente  al centro per l’impiego o ad una agenzia  privata per lo stesso servizio”.

Chiaramente a risultato ottenuto, cioè l’assunzione, i percorsi d’inserimento al lavoro sarebbero pagati ugualmente sia al pubblico come al privato, creando logiche distorsive: le assunzioni di categorie basse e poco professionali andrebbero al pubblico e quelle più facilmente occupabili andrebbero al privato. La stessa distorsione, in alcune regioni italiane del Nord, riguarda la sanità.

Una proposta di legge  portata avanti senza la dovuta  informazione  e partecipazione dei soggetti interessati, invece che attuare l’intesa del 2019 - Conferenza Stato .Regioni che prevede un Piano straordinario di potenziamento dei Centri per l’impiego e delle politiche attive.

L’articolo si conclude: I sindacati hanno richiesto un incontro con l’assessore Fioroni, ma l'oppozsizione in consiglio regionale dovrà farsi sentire contro scelte incoerenti e antisociali.

Di fronte all’incapacità manifesta a dirigere positivamente tutta la fase della pandemia, della Giunta di destra, con errori chiari e pericolosi per i cittadini, e all’arretramento in termini d’interventi sociali, riteniamo che sia giunto il momento di costruire un’opposizione, non soltanto nel consiglio regionale ma sociale e politica per mettere in cantiere una proposta politica innovativa e alternativa all’attuale governo regionale, che sta dimostrando il suo fallimento, con pezzi sempre più grandi di malcontento  nella popolazione.

È necessaria una coalizione nuova,  dinamica e  combattiva che vada dalla Sinistra ai 5 Stelle che si poggi su un ritrovato  rapporto con la propria  base di riferimento e che parli a tutti gli strati sociali della popolazione.

Giuseppe Mattioli

La Sinistra per Perugia

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