Trent'anni di liberismo
di Roberto Mapelli
Tra gli effetti nefandi di trent'anni di liberismo, c'è n'è uno particolarmente deleterio: l'identificazione per la stragrande maggioranza delle persone della politica tout court con la politica istituzionale, cioè con l'azione di rappresentanti eletti considerati come un ceto professionale (da noi, il peggiore, tra l'altro). Anche a sinistra marcia questa convinzione, così si assiste alla autonomizzazione e, di fatto, corporativizzazione, dei movimenti sociali. Anche il lodevole e ricorrente tentativo di unificare le loro lotte non trova nella dimensione politica un terreno necessario. E non funziona pensare che esiste una "politica buona" dei movimenti fuori dalle istituzioni e una "politica cattiva" irrimediabilmente compromessa dentro le istituzioni. Per ogni sinistra, comunque intesa, la divaricazione della politica significa di fatto la morte della politica. Perché per ogni sinistra, comunque intesa, e la storia lo dimostra senza appello, solo l'intreccio stretto tra istanze di lotta sociale e organizzazione per la conquista del potete istituzionale, può forse produrre una effettiva trasformazione egualitaria della formazione sociale nel suo insieme complesso. Non c'è alternativa.
Per questo ogni chiusura della politica in un ambito solo istituzionale o solo sociale (anche sr rassicurante) è infine subalterno a chi comanda e impedisce ogni tipo di ricostruzione della sinistra

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