di Giovanni Dozzini

 

In Umbria viviamo un paradosso. L'Italia chiude domani, noi siamo chiusi da un pezzo. E ora va un po' meglio, ma solo un po'. A un anno dal primo lockdown, paura di ammalarsi e di ammalare gli altri a parte, l'aspetto più penoso riguarda la scuola. I bambini e i ragazzi non ce la fanno più a reggere la Dad, gli insegnanti non sanno più cosa inventarsi.
Il magone è grosso.
Eppure coi numeri che abbiamo riaprire le scuole sarebbe fuori luogo. Domani riaprono nidi e materne, io speravo che tra una settimana toccasse almeno alle elementari, ma la curva dei contagi e dei ricoveri non si abbassa quanto dovrebbe, e a queste condizioni le scuole rischiano di essere una polveriera.
Il punto, quindi, non è chiedere il ritorno immediato in classe, ma pretendere che si faccia di più - considerando che siamo stati in zona rossa a lungo e che siamo ancora e ancora saremo a lungo in arancione - per contenere il contagio e la sua ricaduta sul sistema sanitario: si è potenziato e migliorato il tracciamento? quanti addetti al contact tracing in più si sono assunti? si è potenziato il trasporto pubblico? si è allestito un efficace sistema per testare la popolazione studentesca e bloccare i cluster sul nascere? e inoltre, quando si partirà con le 1.550 assunzioni di operatori sanitari promesse per il 2021?
Il 9 febbraio scorso la governatrice Tesei si era impegnata solennemente a sbloccare queste e altre questioni entro 15 giorni. Ne sono passati più di 30. A che punto stiamo?
Purtroppo riaprire le scuole potrebbe essere un'opzione solo se le risposte a queste domande fossero soddisfacenti.
 

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