di Maria Pellegrini.

“L’assassinio di Regilla” di Sara B. Pomeroy, professore emerito di Studi classici e Storia alla City University di New York (ed. Laterza, pp. 223, € 15,00), è la biografia di una donna, nata nel 125 d. C., appartenente alla più antica aristocrazia romana, che dal padre fu data in sposa al greco Erode Attico, tra i più ricchi e colti uomini dell’impero.

Il volume, che recita nel sottotitolo «Storia di una donna, del suo matrimonio e del tempo in cui visse», oltre alle vicende biografiche di Regilla offre uno spaccato sulla vita di una donna romana del II secolo dopo Cristo e sui matrimoni misti che comportavano anche uno scontro di culture. Gran parte del libro è dedicata al confronto tra la vita privata in Grecia e quella in Roma nell’età imperiale e al contesto storico-sociale in cui visse la protagonista la cui vita è narrata fino alla tragica morte con una attenta analisi che mostra il grande interesse dell’Autrice per il ruolo delle donne nell’antichità al quale ha dedicato numerosi studi.

Erode, greco di origine, aveva percorso a Roma l’intero corso delle magistrature, era in buoni rapporti con la famiglia imperiale degli Antonini tanto da diventare tutore di Lucio Vero (che in seguito divenne imperatore insieme a Marco Aurelio). Molto colto e rappresentante del movimento filosofico letterario noto come “Seconda Sofistica”, aveva però un temperamento litigioso tanto che - come annota Pomeroy - «ricorreva con più facilità alla violenza che alle armi della persuasione». Le testimonianze lo raffigurano violento, dispotico, cinico e, in privato, fu definito «un boia» dal famoso retore Frontone. Tuttavia nonostante ciò, il matrimonio tra Annia Regilla, giovane di 13-14 anni (era nata nel 125 d. C.) ed Erode di anni 40, era ben visto dal padre della ragazza per la ricchezza della famiglia dello sposo che a sua volta era soddisfatto di venire a far parte di una giovane imparentata con gli Antonini attraverso i quali poteva integrarsi nella società romana e ottenere favori per la sua carriera.

A Roma Regilla trascorse i primi anni del matrimonio, dopo un anno partorì il suo primo figlio che morì subito dopo la nascita. Ciò spesso accadeva e la morte di bambini in tenera età era elevata. Basti ricordare, come leggiamo nel volume, che «Faustina e Marco Aurelio ebbero più di dodici figli dei quali solo un maschio e una femmina raggiunsero l’età adulta». Erode non si dava pace per questa morte, l’amico Frontone scrisse a lui una lettera per consolarlo, ma non citò per nulla il dolore della madre. Tale atteggiamento rifletteva quello del marito stesso che esprimeva soltanto il suo immenso dolore, come se la moglie fosse estranea e insensibile di fronte a quella inconsolabile perdita.

Regilla, due anni dopo la morte del primo figlio, mise al mondo una femmina. Fu allora che Erode decise di trasferirsi ad Atene dove la giovane si trovò lontana da Roma, dalla sua famiglia, dagli amici, dovendosi adeguare a fatica a stili di vita diversi. Una donna in Grecia non aveva una posizione privilegiata come la “mater familias” a Roma, ma doveva svolgere il ruolo a lei assegnato dal marito, che spesso consisteva nel generare figli, crescerli, ed essere sottomessa a lui e alla sua famiglia.

La vita di Regilla, ripercorsa nel volume in tutti i passaggi, è di grande interesse perché descrive la differenza del ruolo da lei rivestito nella società mentre era a Roma, centro dell’Impero e quello a lei riservato quando il marito decise il trasferimento della famiglia in Grecia, a Maratona, periferia dell’Impero, luogo di nascita di Erode, e reso famoso dalla battaglia della prima guerra persiana del 490 a. C. A Roma una donna poteva partecipare a incontri mondani insieme al marito e a volte anche da sola, e intervenire alla conversazione con altri uomini presenti. In Grecia una donna poteva partecipare ma parlare soltanto con il marito o attraverso di lui. Ma era preferibile che rimanesse a casa e «stare tranquilla come una tartaruga». La moglie doveva conformarsi ai desideri del marito.

Erode trovò per Regilla un incarico come sacerdotessa di Olimpia. Quella religiosa era l’unica sfera nella quale le donne greche potevano svolgere un ruolo pubblico. Ricoprì anche altre cariche religiose (sacerdotessa di Demetra e di Tyche) e la ricchezza le permise di finanziare molti progetti di costruzioni di grande utilità. Le numerose iscrizioni che la onoravano con parole di elogio sono una testimonianza del suo ruolo di sacerdotessa e benefattrice. Ma i rapporti con il marito continuarono a essere caratterizzati da una concezione sulla famiglia molto diversa da quella romana. Ci furono litigi e incomprensioni tra i due, ma per Regilla un profondo dispiacere le proveniva dal vedersi trascurata dal marito che mostrava più attenzione a un giovane suo favorito, Polideuce, e ad alcuni ragazzi da lui adottati e divenuti suoi amanti.

La società greca, ancor più rigida nei confronti del sesso femminile di quella della Roma imperiale, rappresentava per Regilla l’impossibilità di appellarsi ai diritti che la legge romana le avrebbe garantito nel luogo in cui era nata e cresciuta.

Dopo la nascita della bambina, nacquero altri quattro figli, che non sopravvissero, solo Bradua rimase in vita, ma ebbe rapporti molto turbolenti con il padre che lo tenne in poca considerazione. Regilla era in attesa del quinto figlio ed era all’ottavo mese quando secondo alcune fonti, contraddette poi da altre, il marito la fece punire per futili motivi da uno dei suoi liberti che la percosse più volte. Colpita da un violento calcio al ventre abortì e perse la vita. Perché il liberto avesse agito così non si può sapere con certezza per mancanza di fonti attendibili.

Durante il processo con l’accusa di omicidio mossa al marito da Bradua (fratello di Regilla con lo stesso nome del figlio), Erode fu sollevato da ogni accusa, secondo Pomeroy per la sua amicizia con l’imperatore Marco Aurelio devoto al suo ex maestro. La colpa fu fatta ricadere sul liberto di Erode, Alcimedonte, che però, a quanto è dato sapere, non subì nessuna pena. Il sofista e scrittore Filostrato, unica fonte del processo, fu a favore di Erode, e scrisse quali fossero i motivi per cui meritasse l’assoluzione:

«gli giovò a sua difesa in primo luogo il fatto di non aver mai dato un tale ordine contro Regilla, in secondo luogo di averla rimpianta oltre misura dopo morta. E sebbene venisse calunniato anche di questo come fosse un atteggiamento simulato, la verità finì col trionfare».

Il saggio di Sarah Pomeroy si propone di far luce su una figura che la storia ha tenuto piuttosto in ombra, sulla sua breve vita e la sua violenta fine.  Il marito affranto le edificò per tutto l’impero, templi, teatri, ninfei, monumenti arricchiti di marmi e statue dedicati a lei moglie «virtuosa» e «luce della casa» mostrando un dolore reso pubblico in modo così esagerato da suscitare il sospetto sulla sua colpevolezza, come documentò anche Filostrato.

Dopo il processo Brauda ricoprì la carica di proconsole che lo tenne lontano dall’Italia. L’accusa a Erode mise fine alla sua carriera politica.

La storica inglese Pomeroy ha affrontato nel suo libro una grande varietà di temi che riguardano l’arte, l’archeologia, la letteratura, la storia politica e sociale, il costume, con studi approfonditi e il ricorso a ogni genere di fonte storica, dall’epistolario e dalla “Vita di Erode Attico” di Frontone, all’epigrafia, considerando con particolare attenzione anche i resti archeologici. La narrazione dei fatti è arricchita dalla descrizione dei luoghi, da fotografie di monumenti, statue, busti, anche di una bambola d’avorio.

Arricchiscono il volume numerose note esplicative. Un prezioso indice analitico con i nomi di persone e di luoghi citati e gli argomenti trattati nel libro facilita una consultazione rapida per notizie di proprio interesse.

Nell’immagine: il sepolcro di Annia Regilla (Roma, parco archeologico dell’Appia)

Condividi