A seguito dell'articolo pubblicato qualche giorno fa sempre su queste colonne dal titolo "Palmiro Togliatti: i pregi del riformismo" di Giuseppe Mattioli si è aperto un dibattito sul tema. A seguire riportiamo l'articolo di Caponi in risposta.

La pioggia che mi impedisce di andare al percorso verde stamattina, mi permette di interloquire con questa nota con un post del compagno amico Peppe Mattioli che riporta un lungo articolo di Togliatti il quale, del tutto giustamente a mio giudizio, sostiene che il riformismo va attaccato nei momenti rivoluzionari in quanto rallenta o sabòta il processo rivoluzionario, mentre va sostenuto in fase di restaurazione. Implicitamente Peppe dice che, seguendo i canoni togliattiani, il governo Conte 2 andrebbe sostenuto. Ho già risposto intervenendo sul suo post che io non vedo oggi in campo nessuna ipotesi riformista da sostenere, ma solo due facce, diverse forse nella forma ma uguali nella sostanza, di modernizzazione restaurazione liberista il che, a mio giudizio, rende la scelta, Conte si Conte no, uguale a quella tra la padella e la brace.
Ma, tornando a Togliatti, vorrei ricordare l'ennesimo equivoco o revisionismo storico che è stato costruito sulla sua teoria. Togliatti prefigurava per il Pci (la Via italiana al Socialismo) una strategia non riformista, ma riformatrice. La differenza di termine non è un sofisma. Per riforme (di struttura come erano chiamate) il leader comunista intendeva quelle finalizzate o proiettate in un orizzonte di trasformazione/superamento della società capitalistica,, mentre disprezzava quelle rivolte a semplici aggiustamenti o miglioramenti dell'esistente (il riformismo).
A chi si scandalizza dei miei accostamenti vorrei ricordare quanto segue. Negli ultimi trenta anni (do un giudizio da storico, non da politico) il nostro Paese ha vissuto un processo di annullamento della sua particolarità, di omologazione agli altri stati europei, di americanizzazione politico istituzionale e di liberismo economico i cui capitoli sono stati i seguenti: precarizzazione del lavoro, a cominciare dai primi decreti Treu fino alla totale destrutturazione dei diritti dei lavoratori (abrogazione art. 18 e altro); privatizzazioni e liberalizzazioni; tagli alla spesa pubblica e sociale; riforme alla Fornero; mantenimento di un regime fiscale forte con i deboli e debole con i ricchi; titolo V; riforme presidenzialistiche e maggioritarie; inseguimento dell'antipolitica e dell'antiparlamentarismo. In questa, non so come chiamarla se non restaurazione, hanno concorso centro sinistra e centro destra in modo comune. Anzi, adesso non voglio esagerare, ma in qualche caso, rispetto alle aspettative che aveva creato, il cs è stato anche peggio del populismo opportunista. Con tutto questo voglio semplicemente dire che, secondo me, un'ipotesi riformista, oggi, va costruita rompendo e fuori da questo schema di alternanza bipolare. E' più facile a dirsi che a farsi, ma bisogna provarci. Se no, , per un ciclo storico, chiudiamo.
Leonardo Caponi
 

 

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