DI ALTERO FRIGERIO da strisciarossa.it

Il Sì sarebbe popolare e il No elitario e conservatore? Ma scherziamo? Per me il Sì è solo una scorciatoia, direi l’ennesima trovata, per lasciare ai partiti e ai loro sempiterni capi e capitani (specie di quelle forze politiche che si dicono movimenti, leghe, fratelli ecc. ecc.) il potere di scegliere chi mandare in Parlamento. Il Sì è semplicemente un clamoroso quanto evidente e consapevole furto di democrazia. Democrazia vuol dire partecipazione (dei cittadini elettori) e rappresentanza (le persone scelte per fare quello che serve alla società).

Una buona democrazia per dirsi tale (nella situazione data va preso come valore da conquistare) ha bisogno di un buon equilibrio dell’una (la buona partecipazione) quanto dell’altra (la buona rappresentanza). Il taglio lineare della compagine parlamentare comporta, che lo si voglia o meno, un ulteriore colpo, forse definitivo della partecipazione (decideranno pochi ottimati ancor di più di quanto già avviene). Un click o un tavolo di poker stabilirà chi siederà a Montecitorio o a Palazzo Madama. Nominati al servizio dei capi: alla faccia della Costituzione e della centralità del Parlamento!

Tolti i vitalizi (misura in sé giusta ma senza reali effetti sulle casse dello Stato e sul corretto funzionamento delle Camere), i parlamentari sono forse più buoni, belli, bravi e capaci di legiferare meglio di prima, o sono chiamati e ridotti sempre più a ratificare sic et simpliciter i decreti emanati dall’esecutivo? Tradotto: tanti o pochi che siano, il problema non è il numero dei deputati e dei senatori quanto la/le loro qualità e quella dell’edificio istituzionale complessivamente inteso.

Nell’epoca dell’uno vale uno, possiamo accettare la logica del “meno siamo e meglio stiamo”? Certo che NO, ma poiché abbiamo  a che fare con un taglio lineare dissennato, pensato solo per essere esibito come un trofeo, alcune regioni e molti territori ci perderanno di più. Record negativo, quello dell’Umbria, con un bel -57,1% di senatori!

Ricordato che tutti i precedenti attacchi alla Costituzione, da quelli della bella coppia Berlusconi-Calderoli a quelli del senatore di Rignano, a quello sciagurato sul Titolo V e i rapporti tra Stato e Regioni, sono falliti o hanno dato esiti assai negativi, a chi sostiene il Sì (anche in area di centro-sinistra) vorrei – al di là di queste premesse di principio – fare qualche domanda terra-terra.
Tagliate le Province, la manutenzione delle strade, i riscaldamenti nelle scuole, la difesa del suolo, dell’ambiente e prevenzione delle calamità, la tutela delle risorse idriche ed energetiche, la valorizzazione dei beni culturali, solo per citare alcune voci una volta in capo alle amministrazioni provinciali, le trovate migliorate? Con un colpo d’accetta, peraltro sferrato malissimo, abbiamo fatto fuori un pezzo della nostra architettura istituzionale e, per togliere di mezzo i consiglieri provinciali (c’erano ben altre soluzioni), abbiamo buttato alle ortiche competenze e responsabilità essenziali per il buon funzionamento del vivere quotidiano e ci siamo ritrovati nel ginepraio di comuni, unioni dei comuni, aree vaste, aree metropolitane, regioni e via elencando in cui nessuno sa più chi decide su cosa.

Non si stava meglio quando si stava peggio, ma di certo il rapporto Stato-cittadini non si cambia o si riforma a colpi di demagogia anticasta e di un inconfessato quanto evidente antiparlamentarismo. E, a dire il vero, nel taglio dei parlamentari non si capisce proprio cosa si stia riformando, se non racimolare qualche milione di euro che potrebbero entrare nel bilancio pubblico da una ben più seria e convinta lotta all’evasione e alla corruzione (oggi si recupera solo il 13% delle somme sottratte al fisco).
Non voglio tirarla per le lunghe ma vorrei concludere con altri due sintetici richiami che mi stanno particolarmente a cuore: scuola e sanità.

Due semplici esempi che mi tornano utili per motivare le ragioni del mio NO. Partiamo dal coronavirus. Tutti a stracciarsi le vesti in epoca Covid per i miliardi e miliardi sottratti nei decenni alla sanità pubblica. Della serie: dei danni dei tagli ci si accorge sempre quando è tardi. Efficacia, ed efficienza, risparmi e buon utilizzo dei soldi dei contribuenti non si realizzano sforbiciando ma premiando qualità e trasparenza. Se ci si crede, ci si prova: costa fatica e magari voti, ma praticare il cambiamento è questo. Chi ha brindato per aver abolito la povertà – come quelli che vogliono abolire l’emigrazione – ora non ci dica che con meno posti letto si voleva abolire le malattie!

Gli stipendi degli insegnanti e la qualità della nostra scuola: tanto impegno e dedizione del personale scolastico si sciolgono [no referendum]  come i ghiacciai di fronte ad una realtà fatta di precarietà, bassi salari, abbandono scolastico, analfabetismo di ritorno. Un panorama sconsolante frutto anche qui di tagli lineari e riforme a casaccio.

Ai sostenitori del Sì, sotto questa o quella bandiera si collochino, sconsiglio di avventurarsi in improbabili Pantheon di sinistra per sostenere le loro tesi. Servono argomenti, ragionamenti, programmi (si diceva un tempo) che sinceramente e pubblicamente rimpiangiamo. Ma di slogan e di vaffa ne abbiamo le scatole piene.

La pandemia ce l’ha detto bello e chiaro: lavoro, salute, istruzione sono in cima alle preoccupazioni degli italiani. E allora il 20 e 21 di settembre serve un bel NO forte e chiaro alle perverse politiche dell’odio e della rabbia e uno NO altrettanto fermo alle armi di distrazione di massa come questo referendum.

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