di Paolo Brutti
Il popolo italiano ha sempre diffidato dei cambiamenti costituzionali. Ciò per un sentimento comune di rispetto della legge fondamentale della Repubblica che ha consentito più di settanta anni di democrazia e di allargamento dei diritti.
Questa volta il frutto avvelenato della modifica costituzionale è stato avvolto nell’incarto invitante dell’antipolitica, del qualunquismo anti casta e del disprezzo dei politici in quanto tali, accumunati dal giudizio di incapacità, di interesse personale, di arricchimento indebito.
Può darsi che il pacco mascheri il contenuto e convinca molti. Ma il fetore di un attacco alla democrazia rappresentativa, che è poi l’unica che si conosca, è fortissimo.
In termini strettamente politici questo referendum è l’ultimo frutto sopravvissuto della tesi grillina della equiparazione di destra e sinistra e della diversitàdrl MoVimento. Abbattere questo ultimo feticcio aiuterà anche la maturazione del M5S e il disincagliamento di questo partito dal mito della politica come antipolitica.
Tutto il resto è noia.
Il risparmio è risibile e potrebbe essere facilmente ottenuto con una riduzione delle indennità e dei benefit dei parlamentari.
La efficienza è una pubblicità ingannevole se resta il bicameralismo perfetto e gli attuali regolamenti parlamentari.
Di certo c’è solo una riduzione della rappresentanza e una maggiore difficoltà a realizzare un sistema rappresentativo più proporzionale che è l’unico antidoto al disegno dei “pieni poteri”.
Attendo con fiducia il voto a cavallo dell’equinozio d’autunno e rammento che nel calendario degli alchimisti quel giorno era il giorno del cambiamento, quello nel quale dalla miscela di elementi semplici e diffuso si ottenevano metalli nobili e preziosi.
Che sia per l’Italia il giorno della Democrazia.
 

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