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di Patrizia Proietti, membro della segreteria Regionale PRC La scuola italiana versa in una situazione sempre più drammatica dal punto di vista finanziario. I tagli man mano apportati ai bilanci delle singole scuole hanno determinato un ricorso sempre maggiore al contributo delle famiglie alle spese per attività curriculari, per uscite didattiche e per l’acquisto di materiale di consumo. A questi si sono aggiunte le progressive riduzioni dei trasferimenti da parte dei Comuni per le spese di funzionamento, le quali hanno determinato gravi difficoltà nella copertura di queste spese obbligatorie. Il governo Berlusconi, però, non si accontenta di tagliare le risorse finanziarie – fatto comunque da non sottovalutare - ma agisce direttamente sul corpo docente e non docente amputandolo gravemente. Analoga sorte è toccata all’Università: distinguendo tra atenei viziosi e atenei virtuosi – a seconda che destinino rispettivamente più o meno del 90% dei trasferimenti per spese del personale – si introduce un criterio selettivo, cui si collegano dei provvedimenti sanzionatori, che esula completamente dalla valutazione della qualità dell’attività didattica e di ricerca. Di questo si è parlato venerdì 29 maggio presso la sede della Federazione del Partito della Rifondazione Comunista nell’incontro sul tema “La riforma berlusconiana della scuola e dell’università”, cui hanno partecipato diversi insegnanti di scuola (di ruolo e precari) e ricercatori universitari (tutti precari). Il vivace dibattito che ne è scaturito ci ha permesso di condividere i timori e le speranze che essi nutrono per il loro futuro e per quello del diritto costituzionale alla conoscenza. In Umbria, la portata dei tagli inferti agli organici delle scuole va oltre la mera perdita – già grave in sé - di ben 500 posti del personale docente e 222 posti del personale ATA; vengono meno le attività di integrazione dei bambini con handicap (il cui numero aumenta del 7% rispetto all’anno scorso) e quelle di ausilio all’inserimento dei bambini extracomunitari, aumentano le pluriclassi (da 64 a 101), l’attivazione del tempo pieno viene ridotta del 5%, i fondi per il funzionamento didattico e amministrativo vengono azzerati e quelli per le supplenze trasferite con un ritardo sempre maggiore. La realtà degli atenei umbri non è certo migliore. Come nel resto d’Italia, i giovani ricercatori, su cui poggia gran parte dell’attività di ricerca e di supporto alla didattica, perdono ogni minima speranza di poter un giorno vedere regolarizzata l’attività che portano avanti spesso da anni, se non da decenni. La loro condizione di estrema precarietà, inoltre, li espone a pesanti condizionamenti nell’esercizio del loro diritto alla protesta, inducendoli a comportamenti cauti e forzatamente condiscendenti. Il quadro ideologico, cui si informano tutti i provvedimenti assunti dal ministro Gelmini e dal ministro Tremonti e che ne costituiscono il preludio, è ben delineato nella proposta di legge avanzata dall’onorevole Valentina Aprea, che prospetta un modello di scuola fondato sull’apporto di soggetti esterni e privati alla gestione della scuola, sul reclutamento a chiamata diretta degli insegnanti e sull'abolizione delle RSU di scuola. Quindici anni di berlusconismo non sono passati invano. Berlusconi ha prodotto un cambiamento culturale molto più profondo di quanto non si pensi, ha offuscato le coscienze delle persone e ha portato al trionfo un modello di società che fa della competizione e dell’individualismo i suoi fondamenti. L’arroganza della Gelmini nei confronti della scuola pubblica ricalca perfettamente quella di Brunetta nei confronti del pubblico impiego. Nella politica berlusconiana tutto ciò che è regolato in modo da garantire la democrazia, tutto ciò che ha valenza nazionale, tutto ciò che unisce, tutto ciò che è collettivo (contratto collettivo di lavoro, sistema sanitario nazionale, scuola della Repubblica e così via) deve essere denigrato, oppresso, dileggiato, eliminato. La fonte di ispirazione di questo atteggiamento è quello che Berlusconi ha nei confronti di quelli che possono essere definiti “contropoteri”: la magistratura, l’opposizione parlamentare e il sindacato. La magistratura è in mano alla sinistra, è persecutoria nei suoi confronti e quindi va distrutta; il Parlamento non serve, anzi è d’intralcio all’azione del governo, quindi va ridotto ai minimi termini, giusto per non dare l’idea di voler instaurare direttamente la monarchia assoluta; il sindacato, o meglio la CGIL, è un’organizzazione politica rivoluzionaria in mano ai facinorosi della sinistra più estrema, e come tale va liquidata. Le istituzioni repubblicane e i presidi di democrazia sono davvero in pericolo. Dobbiamo difenderli. Condividi