Che la situazione dei trasporti non fosse buona si sapeva. Che per troppo tempo si è dormito, e quando si era svegli si è sprecato, è anch’essa cosa nota. Poi venne la Lega. Venne il messaggio di un cambiamento che avrebbe dovuto incenerire il “vecchio” e, con l’efficacia di uno schiocco di dita, portare, o quanto meno iniziare a portare, un cambiamento.

Il “cambiamento” è stato pescato dall’usato politico più che sicuro: Enrico Melasecche. Portatore “sano” (secondo la Lega e la Presidente Tesei) di un curriculum politico lungo come pochi. Probabilmente scelto perché di trasporti se ne intende, avendo percorso tutto l’arco costituzionale dal centro a destra, Enrico Melasecche è l’uomo cui è stato affidato il compito di superare l’isolamento trasportistico dell’Umbria. Il compito, non facile, pare però aver spiazzato l’assessore, al punto da spingerlo a chiedere aiuto non ai “nuovi” tecnici regionali (in realtà gli stessi “vecchi” ereditati dalla precedente giunta che si millantava di poter spazzare via), ma ai sindacati ed ai rappresentanti dei viaggiatori stessi. In sostanza l’assessore ha chiesto a gente che rappresenta i cittadini senza i lauti stipendi dell’assessore, del suo staff e dei vari tecnici e dirigenti, di individuare cosa si può tagliare. Tagli per 7 milioni è la ricetta dell’assessore. Ma tranquilli: si tratta di sprechi. Del resto come potrebbe non essere così? In pratica sono cittadini e lavoratori e decidere cosa tagliare dei già più che tagliati e malconci trasporti umbri. Un alibi di ferro. Una chiamata alla responsabilità collettiva. In pratica un olocausto imposto ove la scelta era tra farsi amputare volontariamente un dito del piede a scelta, o rischiare che l’amputazione venisse scelta in base a presunti teorici criteri di necessità, ma in pratica con il serio rischio di avere tagli lineari a “random”. Soprattutto la ex Ferrovia Centrale Umbra ha beneficiato di questi “face to face” tra l’assessore e le parti in causa.

In tutto ciò il nostro assessore regionale fa continui viaggi a Roma, dove, con caparbia forza, dice di sbattere i pugni sul tavolo a Rete Ferroviaria Italiana, coadiuvato dai suoi tecnici e dirigenti ereditati dai bei tempi che furono dei finanziamenti a pioggia. Immaginiamo l’impressione ed il climax che tale agguerrito gruppo avrà suscitato nei dirigenti di Rfi, sicuramente guadagnandosene l’imperitura stima e reverenziale rispetto. Ma sta di fatto che, forse, più che sollevare la polvere dal tavolo, questi pugni non abbiano fatto. Del resto nemmeno se si fosse portato dietro una clava l’assessore avrebbe mai potuto far qualcosa, poiché Rfi è ad oggi la padrona di tutta la baracca, e soprattutto dice una cosa semplicissima: “Vuoi la tua ferrovia regionale? Basta che paghi, e te la facciamo secondo i nostri standard”. L’alternativa? Non è il nulla. Tutti gli umbri possono stare tranquilli. La ex Fcu sarà inserita completamente negli asset strategici nazionali, con tanto di inserimento nei piani decennali di Rfi. In pratica tra dieci anni si dovrebbe iniziare a muovere qualcosa, sempre che l’assessore riesca in tale impresa. Nel frattempo la pratica della ex Fcu starà in buona compagnia con tanti altri progetti fantastici quali il raddoppio della Orte – Falconara, in programma dagli anni 80’, e la Direttissima bis tra Roma e Firenze allo studio da oltre 20 anni.

Pagare? Fosse semplice. “Umbria Mobilità è uno strano mostro”, ha recentemente dichiarato Melasecche (attendiamo ovviamente smentita come quando si parlò di eliminare il Frecciarossa). Di fatto lo “strano mostro” pare essere al centro di quella piccola inchiesta che ne sancì il fallimento come azienda. A quanto pare i valenti e ben pagati membri dello staff dell’assessorato non riescono a superare questo problema. Quindi che si fa? Soluzione: dare un colpo al cerchio e uno alla botte.

Quindi, a giorni alterni, Melasecche, e compagnia, si richiudono attorno ai propri territori (giustamente chi vive di politica purtroppo non gradisce allontanarsi troppo dal campanile) e quindi ecco l’idea per racimolare i soldi che mancano al trasporto umbro per garantire il servizio. Tagli sulla ex Fcu e a BusItalia nell’Alto Tevere, e nella zona nord della provincia di Perugia. A Terni invece si annuncia la soppressione dei passaggi a livello sbandierata con fierezza ed amor di suolo natio, neanche Melasecche fosse ancora al comune di Terni.

Ma sempre nel ternano la scure cala per 3,5 milioni di euro, annullando gli sforzi fatti dai comuni della provincia di Terni per garantire il proprio trasporto pubblico locale. D’altro canto bisogna tenersi buono l’elettorato, e quindi ecco che si punta sull’idea di vendere le quote comunali del MiniMetrò di Perugia. Non che sia stata idea originale dell’assessore regionale. Di fatto trattasi di un sogno cullato dalla giunta del sindaco Romizi fin dalle battute finali del precedente mandato. Peccato però che gli illuminati amministratori di Palazzo dei Priori non sembrano tenere conto della recente vicenda amministrativa della ex – Fcu, che in sostanza insegna che il proprietario dell’infrastruttura decide cosa farne e come. A Melasecche l’idea pare sia piaciuta subito. Da buon politico ha subito compreso che portare il taglio dei costi dell’odiatissimo MiniMetrò di Perugia, gli avrebbe fatto “meritare” la stima riposta in lui dai territori ternani, e forse persino guadagnare consensi in quelli perugini.

Peccato però che, come denunciato da un ex leghista quale Emanuele Fiorini, nel dare un colpo al cerchio e uno alla botte pare ci sia scappato il doppio tuffo carpiato con inciampo sotto al campanile di Perugia. Infatti al capoluogo sono stati stanziati 1,5 milioni proprio per i trasporti, la maggior parte dei quali verosimilmente andranno spesi proprio per i debiti del MiniMetrò.

Senza entrare nel merito di questioni sicuramente interessanti, ma che forse necessiterebbero di un libro, più che di un articolo di giornale, bisogna chiedersi se questo è il “cambiamento”, o se semplicemente abbia trionfato la continuità del processo fallimentare dei traporti regionali, condita con la necessità di innaffiare qualche orto politico.

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