di Andrew Sernatinger (*) - JacobinItalia.

socialisti democratici d’America (Dsa) hanno celebrato la loro convention nazionale ad Atlanta dal 2 al 4 agosto. Era la seconda dalla rinascita dell’organizzazione, in epoca trumpiana, e hannopartecipato quasi 1.100 delegati da tutto il paese.

Già la convention del 2017 aveva incoronato i Dsa come laboratorio del nascente movimento socialista negli Stati Uniti e aveva marcato il desiderio dell’organizzazione di svoltare a sinistra lasciandosi alle spalle gran parte delle posizioni conservatrici sostenute in passato, soprattutto in politica estera. Il nuovo Dsa allora mostrava entusiasmo, ma mancava di una storia condivisa tra i nuovi membri, necessaria a elaborare un linguaggio comune sullo stato dell’organizzazione e sul lavoro da fare, né su come navigare al meglio nelle acque politiche contemporanee.

Adesso, nel 2019, i Dsa sono passati dai 25.000 iscritti di due anni fa ai quasi 60.000 odierni, con circa 175 sezioni negli Stati Uniti. Ho partecipato come delegato della sezione di Madison, Wisconsin, che mantiene un profilo indipendente rispetto alle varie aree dei Dsa. Quello che segue è un riassunto delle giornate di dibattito e delle risoluzioni adottate.

Nei due anni trascorsi dalla convention del 2017, i Dsa hanno lanciato la campagna nazionale Medicare for All per l’assistenza sanitaria gratuita pubblica; hanno lavorato a campagne elettorali per candidati di sinistra e socialisti a livello locale, statale e nazionale; si sono organizzati tra gli attivisti sindacali svolgendo un ruolo chiave negli scioperi delle insegnanti. Hanno sviluppato progetti di mutuo soccorso come le riparazioni gratuite degli stop delle auto per eliminare un pretesto molto comune con cui la polizia ferma gli automobilisti. Ancora, hanno organizzato la rete degli inquilini e combattuto l’incarcerazione permanente. Il racconto di queste attività hanno chiaramente aperto la strada alla discussione di alcune questioni politiche di più ampio respiro.

C’erano infatti alcune questioni da affrontare, ma, come avevo già scritto prima della Convention, sulle linee guida si può individuare un accordo di fondo. La problematica principale attorno a cui ruota tutto è la difficoltà di costruire un’organizzazione. Con le diversità tra le varie sezioni, le distanze imposte dalla geografia e una varietà di posizioni politiche da “partito pigliatutto”, il contrasto tra diversi modi di concepire i problemi organizzativi (reali o percepiti) ha portato alla fine a un conflitto in Assemblea tra soluzioni alternative su come strutturare i Dsa.

La grande apertura è stata cruciale per aggregare nuovi attivisti interessati al socialismo, ma le aspettative dei nuovi membri si sono rivelate maggiori delle risorse di cui dispongono i Dsa per sostenere così tanti nuovi iscritti. L’iniziativa e la creatività dei membri ha cercato di colmare questa lacuna, mantenendosi sempre in bilico tra la capacità di organizzazione nazionale e le esigenze delle sezioni locali. Molte delegazioni sono arrivate alla Convention con magliette, spille e materiali che richiamavano l’appartenenza ai Dsa. Di fatto, allo stato attuale gli attivisti locali hanno preso in mano la struttura nazionale dei Dsa, ma quanto di tutto ciò rappresenta una virtù e quanto, invece, è solo dettato dalla necessità? Capire come rispondere a questa domanda è stato il cuore della Convention.

Tre erano, a mio avviso, le questioni principali:

Capire in che direzione orientare i Dsa: se verso un decentramento ulteriore oppure verso un maggiore investimento su una struttura di coordinamento nazionale.
Ripristinare la legittimità del Comitato politico nazionale (Cpn), la struttura di leadership nazionale dei Dsa. Nel 2017 il Cpn è entrato in crisi immediatamente dopo la sua elezione, prima per uno scandalo sul passato come formatore per ufficiali delle forze dell’ordine di uno dei suoi membri, e in seguito per l’espulsione di un altro membro per accuse di molestie sessuali e comportamenti inappropriati. Entrambi sono stati espulsi dopo lunghi dibattiti, che hanno comportato un grande dispendio di energie e acrimonia. Ma, soprattutto, questo ha estraniato totalmente il Cpn dalla vita politica della maggior parte dei militanti Dsa.
Trovare un equilibrio operativo tra una politica di classe che riesce a unire lasciando allo stesso tempo spazio alle esperienze basate su identità diverse dalla classe. In altre parole, provare a risolvere la tensione tra universale e particolare senza sacrificare nessuno dei due.

Queste dunque le questioni che aleggiavano alla vigilia della Convention, su cui esistono elementi di disaccordo di fondo. Vederli presentarsi prima ancora dell’inizio della Convention ha portato molti membri dei Dsa addirittura a dubitare che l’organizzazione potesse sopravvivere al weekend.

L’inizio è stato spigoloso, in effetti: l’assemblea si è subito impantanata in questioni procedurali. Il primo punto all’ordine del giorno era una critica della composizione delle delegazioni, seguita da una proposta di metodo sostitutivo con cui votare per il Cpn, da emendamenti alle regole della Convention e altre manovre per cambiare l’ordine del giorno dell’assemblea. Inoltre, l’uso eccessivo delle “sospensioni” del codice di procedura parlamentare americano delle Robert’s Rules, cui il consesso aveva scelto di conformarsi, ha provocato ritardi a cascata che hanno ingolfato tutto il resto della Convention.

Eppure, nonostante queste frustrazioni, l’assemblea ha fatto molto, prendendo una serie di importanti decisioni politiche.

Indipendenza politica

Tre importanti deliberazioni sono state prese a favore dell’indipendenza politica dal Partito Democratico. In primo luogo, la Convention ha affermato che se Bernie Sanders non dovesse vincere le primarie, i Dsa non appoggeranno altri democratici candidati presidente. (Questa risoluzione l’ho presentata personalmente).

In secondo luogo, riconoscendo il valore della campagna pro Sanders e anche i suoi limiti, la Convention ha deciso di presentare una petizione a Bernie Sanders per costruire una piattaforma di “politica estera popolare”, cercando di spostare la politica internazionale del candidato democratico. Tra le richieste avanzate: l’impegno a tagliare l’assistenza alla campagna militare saudita nello Yemen; il rispetto dell’accordo sul nucleare con l’Iran; il ripristino delle relazioni diplomatiche e la fine delle sanzioni contro Iran, Cuba e Venezuela; il rispetto degli accordi di Parigi sul clima; un passo indietro sul riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele; il riconoscimento della campagna Bds (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) come forma di libertà di parola garantita dalla costituzione statunitense; l’immediata abrogazione del Muslim ban di Trump.

Infine, l’assemblea ha approvato un approccio alla campagna elettorale concepita come “lotta di classe“, delineando una prospettiva che consiste nell’usare le elezioni per aumentare la coscienza e la combattività della classe operaia. La risoluzione chiedeva anche di cominciare a immaginare di diventare un partito indipendente in futuro; in linea con una filosofia (simile a quella già esposta da Seth Ackerman su Jacobin Mag), che sostiene la necessità di dotarsi di un partito autonomo mantenendo però l’attività elettorale in seno al Partito Democratico, a causa delle barriere strutturali che inibiscono le iniziative elettorali indipendenti.

Rispetto a questa risoluzione è stato presentato un emendamento contro il termine “partito indipendente”, ma è stato bocciato e la risoluzione è stata approvata appieno. In questo modo, essenzialmente, i Dsa si sono ufficialmente trasformati in un’organizzazione che aspira al cosiddetto dirty break con il Partito Democratico, cioè all’uso strumentale della sua campagna elettorale per creare consenso da drenare in seguito nella costruzione di un nuovo partito. È un cambiamento significativo rispetto alla politica del “male minore” adottata fino a prima del 2016, e allo stesso tempo rimuove il veto sulla partecipazione dei socialisti alle elezioni.

Ecosocialismo

Un consenso schiacciante si è determinato sulla proposta di considerare i Dsa un’organizzazione ecosocialista, impegnata a costruire un Green New Deal anticapitalista per affrontare l’emergenza climatica. La risoluzione a sostegno del Green New Deal è stata approvata quasi all’unanimità.

Come nel caso della posizione su Sanders, è stato adottato un emendamento che respinge il “militarismo verde” e esprime solidarietà con le popolazioni indigene. L’emendamento sosteneva inoltre la nozione di Red Deal, una declinazione della lotta climatica orientata alla liberazione degli indigeni.

Lavoro

La Convention ha votato per continuare ed estendere il lavoro del Democratic Socialist Labor Commission (Dslc). Le risoluzioni approvate hanno accettato un approccio pluralistico al lavoro, riconoscendo la necessità di organizzarsi all’interno dei sindacati e di organizzare i non sindacalizzati. A tal fine, sarà assunta una persona per coordinare questo lavoro dei Dsa.

È passata sul filo del rasoio (475 voti contro 465) la risoluzione per inserire la strategia di organizzarsi all’interno dei luoghi di lavoro (la cosiddetta “Rank and File Strategy“) tra le linee guida dell’organizzazione. Con quei solo dieci voti di scarto, questa è stata la votazione più tesa della Convention, il che suggerisce che il dibattito sul tema è ancora lungi dall’essere concluso. Ora la risoluzione è ufficialmente approvata, ma senza un mandato forte, e i suoi sostenitori dovranno continuare a lavorare per convincere gli altri membri dei Dsa.

L’approvazione in blocco degli altri punti

La Convention ha anche approvato un pacchetto che accorpava varie risoluzioni, importanti ma sottovalutate, che non sono state discusse in assemblea. L’idea di fondo era che, siccome le proposte presentate superavano di gran lunga il numero di quelle che si sarebbero potute discutere nel weekend di Convention, gran parte dei punti sarebbero stati raggruppati in un solo pacchetto unico e votate in blocco, in quanto raccoglievano un consenso quasi unanime. I punti da includere in quello che è stato chiamato “il pacchetto consensuale” erano stati scelti previamente dai delegati prima dell’inizio della Convention.

Le risoluzioni più significative di questo gruppo erano quelle sull’immigrazione (a favore delle frontiere aperte, di una campagna contro i campi di concentramento per migranti e per l’apertura verso le comunità latine) e sulle questioni di genere (depenalizzazione del lavoro sessuale e alla lotta per l’accesso all’aborto). Essendo incluse nel “pacchetto consensuale” tutte queste misure hanno ottenuto ampio sostegno, ma il lato negativo è che non sono state discusse, mentre il dibattito avrebbe rafforzato il loro valore politico agli occhi dei delegati.

Quando il tempo ha cominciato a sgocciolare, alcune risoluzioni che non erano state incluse nel pacchetto consensuale sono state raggruppate per procedere più rapidamente. È capitato alla risoluzione sul Bds, sulla solidarietà con Cuba e la decolonizzazione, sulla campagna per abolire le cauzioni, al sostegno alla riduzione del carcere, all’impegno nelle elezioni locali per i procuratori distrettuali, e infine alle posizioni sulla casa. Nel complesso, sono state apportate importanti correzioni alla politica dei Dsa, soprattutto per quanto riguarda il silenzio tenuto in passato sulle questioni internazionali, storica debolezza delle organizzazioni socialdemocratiche.

Status quo organizzativo

Originariamente, la gran parte del dibattito doveva essere riservato alle risoluzioni organizzative e alle modifiche dello statuto, ma siccome la Convention continuava ad accumulare ritardi (grazie, non da ultimo, al proceduralismo che ha bloccato il primo giorno e rallentato tutti gli altri), l’assemblea ha dovuto sacrificare questo dibattito. Il risultato è che, nell’organizzazione, non è cambiato nulla dal punto di vista strutturale.

Le proposte di costruire nuovi organismi regionali sono state deferite al Cpn. Inoltre, la Convention non ha avuto il tempo di fare appello alla proposta di introdurre l’istituto del referendum nazionale vincolante, che avrebbe creato un sistema di voto democratico diretto sulle questioni sottoposte ai membri, né ha affrontato le preoccupazioni di alcuni sul funzionamento del Cpn.

Sono state approvate importanti risoluzioni a favore della creazione di un programma di formazione politica, di una piano di crescita e di aggregazione mirato, della priorità nella cura dei bambini e a favore di una campagna per introdurre il congedo parentale retribuito. Invece le proposte di eliminare l’obbligo di pagare le quote sociali e di introdurre il vincolo per le sezioni di soddisfare determinati standard di accessibilità sono state entrambe respinte («Nessuno è troppo povero per i Dsa»), anche se non per ostilità politica, ma per ragioni tecniche e terminologiche. (Molti, per esempio, hanno espresso preoccupazione per la proposta sull’accessibilità, in quanto avrebbe conferito un gran numero di risorse a un organismo che, secondo diversi delegati, non sarebbe stato democraticamente responsabile nei confronti dei membri). Su mia osservazione, tutti coloro che avevano votato contro le risoluzioni hanno poi confermato che le preoccupazioni sollevate vanno affrontate, ma non nel modo in cui sono state proposte.

Poi si è passati a votare su una proposta di introduzione della cosiddetta “regola del cappello“, per cui si dovrebbero pagare 100 dollari al mese forfettari a ogni sezione, indipendentemente dalle dimensioni. Su questo punto sono scoppiate delle tensioni quando uno degli autori della proposta ha provato ad abbassare la soglia necessaria per l’approvazione dell’emendamento (chiedendo un voto a maggioranza semplice invece che di due terzi).

Così, in quello che è stato il momento di più alta buona fede di tutta Convention, la coautrice della proposta della regola “del cappello”, Jennifer Bolen, ha sconfessato l’autore delle manovre, chiedendo di votare secondo lo standard della maggioranza di due terzi. Alla fine l’esito è stato negativo (ma io ho stimato che l’emendamento non avrebbe comunque ottenuto neanche la maggioranza semplice). Tuttavia, è stato un momento importante, perché si è dimostrato di poter mettere da parte la guerra tra fazioni per il bene collettivo dei Dsa.

Mentre anche la risoluzione sulla divisione al 50% delle quote sociali tra organizzazione nazionale e sezioni locali è stata respinta, è stata adottata una versione estesa e modificata del programma standard di ripartizione delle quote dei Dsa, che aveva l’obiettivo di affrontare i problemi sollevati dalle sezioni più piccole.

Non sono state apportate modifiche di rilievo alla struttura dei Dsa. Su trentotto modifiche strutturali proposte, ne è stata adottata solo una (quello dell’”Equivalenza degli emendamenti”, che elimina la norma arcana che permetteva al Comitato Politico Nazionale di ridurre a discrezione il numero di voti necessari per approvare gli emendamenti strutturali). È stata richiesta dalla platea e approvata l’eliminazione del linguaggio discriminatorio di genere dallo statuto. Le proposte relative all’organizzazione regionale non sono state respinte nettamente, ma piuttosto (raro esempio di buon uso delle mozioni) i membri hanno comunicato di non avere al momento una comprensione sufficiente degli effetti della proposta sull’organizzazione complessiva, e hanno rinviato le proposte al Cpn per prepararsi in vista della Convention del 2021.

La prova del nove

Qual è il profilo dei Dsa che emerge dalla Convention? Le posizioni politiche sono state chiarite, ma quelle organizzative rimangono in gran parte ancora aperte. Tuttavia è possibile dire che un capitolo si è concluso e se ne è aperto uno nuovo.

Nonostante tutti i tentennamenti, la Convention ha infatti superato una prova che la maggior parte dei gruppi di sinistra falliscono: non c’è stato un solo momento in cui la questione dell’identità del gruppo sia stata liquidata come irrilevante. Certo, si sono verificate spinte da un lato e dall’altro sul modo in cui portare le proprie identità all’interno del dibattito, ma si è trattato di un negoziato collettivo condotto attraverso prove ed errori. La buona volontà dimostrata dai compagni nel cercare di capirlo è da premiare, pur nella difficoltà di resistere fino alla fine.

Personalmente, ho votato contro il passaggio al voto unico trasferibile, il nuovo metodo per eleggere il Comitato Politico Nazionale, ma sono contento che sia passato, in quanto ha contribuito a legittimare il nuovo Cpn. Credo infatti che anche coloro che sono risultati minoritari (come il gruppo Build e i socialisti libertari, entrambi sostenitori di proposte più orizzontali) hanno adesso meno probabilità di considerare i risultati elettorali illegittimi, visto che hanno contribuito a scegliere il metodo di voto. A differenza di quello del 2017, il Cpn del 2019 è stato eletto con un maggior senso di cosa significa esercitare una leadership nazionale e speriamo di poter accantonare definitivamente le vicende del Cpn precedente. Ora, non sono state risolte le questioni più generali sull’organizzazione, ma c’è comunque una nuova prospettiva di vita per il Comitato politico nazionale. Spetterà ai suoi membri rispettare le risoluzioni votate e dimostrare il valore dei Dsa, come un insieme più grande della somma delle sue parti.

I Dsa affronteranno ora i prossimi due anni ben preparati a costruire un movimento socialista in America. Nel paese il socialismo si sta spostando dai margini verso il centro della politica: non è più considerato come un’idea morta, ma come una forza viva nella politica statunitense. In questo quadro i Dsa risultanp meglio posizionati che mai per guidare la carica socialista negli Usa. Abbiamo un mondo da guadagnare, e siamo pronti a lottare per ottenerlo.

* Andrew Sernatinger è un attivista sindacale e membro dei Dsa a Madison, nel Wisconsin. Ha scritto per New Politics e International Viewpoint e ha contribuito alla raccolta Wisconsin Uprising: Labor Fights Back (2012). Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com. La traduzione è di Riccardo Antoniucci.

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