CONTROVENTO
da Invictus
Questa è la storia di un ciclista. È la storia di un uomo ostinato che correva in sella alla sua bicicletta veloce come il vento. È la storia di un uomo che correva e viveva “controvento”. Quell'uomo correva per la libertà…
Albert Richter nasce il 14 ottobre del 1912 al n° 72 di Sömmeringstraße a Ehrenfeld, quartiere popolare di Colonia. È biondo con gli occhi azzurri. È ostinato e testardo. Lavora nell'azienda di famiglia dedita alla produzione di statuette in gesso. La famiglia Richter non naviga nell'oro. Il papà ha un desiderio: vorrebbe che i figli diventassero dei musicisti. Avvia Albert allo studio del violino. Albert non ama le statuine in gesso né tanto meno il violino. Nel 1927, a Colonia, si disputa il campionato mondiale su pista di ciclismo. IL trionfatore è Mathias Engel un tedesco, come Albert. Il giovane Richter viene rapito da quella vittoria e dalla due ruote. S’innamora perdutamente del ciclismo e della pista. Il suo futuro è segnato e, con l’ostinazione che lo caratterizza, insegue il suo sogno. Di nascosto del padre, comincia a correre in bici. Il vecchio Richter non poteva capire la passione del figlio. Per il papà di Albert la bicicletta, la pista, il velodromo non servono a nulla, non possono offrirti un mestiere, da mangiare. Il ragazzo ha un talento innato. Corre su strada e su pista, corre “controvento”. Inizia a frequentare il velodromo. Nonostante la giovane età, mette in difficoltà corridori navigati. Il suo talento viene fuori e comincia a vincere qualche gara. Ha la velocità nel sangue, la pista è la sua seconda casa. Un giorno, durante una gara, si rompe la clavicola ed è costretto a confessare al padre la sua grande aspirazione. Il vecchio Richter vorrebbe fare a pezzi quel trabiccolo a due ruote, ma desiste. Decide di assecondare la passione del figlio. L’ostinazione, la determinazione di Albert hanno avuto la meglio
Albert è un corridore di talento. È potente e veloce. Il suo stile è fluido ed elegante. Viene notato da Ernst Berliner, un mobiliere ebreo, affermato allenatore. Tra i due nasce un connubio professionale e umano indissolubile. Per Ernst, Albert non è solo il corridore forte e talentuoso, è quel figlio maschio che avrebbe sempre voluto. Per Albert, Ernst non è solo un allenatore bravo e preparato, è un amico, un consigliere, un secondo padre.
Luglio 1932. Albert Richter, il biondo ragazzo di Colonia, vince il Grand Prix de Paris. È una vittoria prestigiosa che dovrebbe spalancargli le porte delle olimpiadi che si terranno a Los Angeles proprio in quell'anno. Quella porta resterà chiusa. Albert non può partecipare ai giochi olimpici. La federazione ciclistica tedesca non ha i soldi necessari per sostenere la sua trasferta transoceanica. Deluso da tale decisione, Albert non si abbatte e continua a correre più veloce, più forte, più ostinato di prima. Continua a correre “controvento”, come sempre Si presenta al campionato del mondo dilettanti su pista di Roma. Correndo come un ossesso diventa campione iridato. Torna in patria da eroe. Per tutti è il “Cannone di Ehrenfeld”.
All'indomani della vittoria di Roma, Berliner consiglia ad Albert di passare al professionismo. Sempre su consiglio del suo fidato allenatore e amico, si trasferisce a Parigi, la capitale del ciclismo su pista. Gli inizi nella “Ville Lumiere” non sono facili. Fatica ad ambientarsi. Non conosce la lingua. Fa fatica a farsi capire e a capire. Comincia a frequentare il cinematografo. Divorando film, impara il francese. Si adatta a Parigi, al suo clima cosmopolita e ai francesi. Su pista ottiene vittorie su vittorie. Ben presto viene adottato dal pubblico. Diventa un idolo dei tifosi. Sono affascinati dalla sua eleganza e velocità. Viene ribattezzato il “Tedesco a 8 cilindri”, soprannome guadagnato per la sua potenza. Entra a far parte dello “Sprinter Wandergruppe”, una sorta di “dream team” del ciclismo su pista. Si lega professionalmente e umanamente a due corridori fortissimi: il belga Jef Scherens e il francese Louis Gerardin. Sono i tre moschettieri della velocità. Albert è un campione affermato. È cittadino del mondo. Passa da un velodromo all'altro, gira l’Europa in lungo e in largo correndo e vincendo. Passa più tempo all'estero che in patria. In Germania è un idolo.
Germania 1933. Adolf Hitler e il partito nazionalsocialista prendono il potere. Lo sport viene assoggettato alla dottrina nazista. Hitler capisce che lo sport e i suoi campioni sono un potente mezzo di propaganda. Lo sport è lo strumento per forgiare i soldati, il potente esercito tedesco del futuro. Albert è un campione di caratura internazionale. È il campione ideale per la propaganda nazista. A Richter, però, Hitler non piace e non lo cela, non lo nasconde. A seguito del decreto del 25 aprile del 1933, a Ernst Berliner, essendo ebreo, viene vietato di allenare in Germania. Il partito consiglia Richter di cercarsi un nuovo allenatore, un allenatore “ariano”. Albert è abituato a correre e a vivere “controvento. È ostinato. Continua ad avvalersi di Berliner. Ernst continua a essere il suo allenatore. Non può avvalersi di Ernst per le gare nazionali, ma per quelle internazionali sì. Ai campionati nazionali del 1934, ad Hannover, Albert Richter si presenta ai nastri di partenza da favorito. È il campione in carica. La federazione ciclistica tedesca ha imposto ai corridori una nuova divisa con la svastica. Albert rifiuta d’indossarla. Indosserà la vecchia divisa, quella bianca con l’aquila. Si riconferma campione nazionale, un titolo che sarà suo ininterrottamente fino al 1939. Al traguardo è osannato dalla folla. Al saluto nazista dei tifosi e dei gerarchi presenti, “8 cilindri” risponde con un sorriso e tenendo le mani lungo i fianchi. Albert detesta i nazisti, l’antisemitismo. Non si iscrive al partito. L’ideologia nazista non è la sua ideologia.
Albert è pericolosamente insofferente al nazismo. Ai nazisti quel corridore “controvento”, amico degli ebrei non piace. Viene pedinato, controllato dalla Gestapo. Nel 1937 Ernst Berliner è costretto a lasciare la Germania. Ripara ad Amsterdam, successivamente negli USA. Albert ormai è un nemico del regime. Ernst, preoccupato per le sue sorti, gli consiglia di non manifestare apertamente il dissenso per Hitler. Richter mitiga la sua insofferenza per il nazismo. In alcune occasioni sfoggia un timido saluto nazista di facciata. Il regime, però, ormai ritiene Albert una minaccia, un nemico.
1° settembre 1939, la Germania invade la Polonia. Albert Richter è cosciente del suo destino. È consapevole che sarà chiamato ad arruolarsi nell'esercito tedesco. Il rifiuto di Richter è netto. Non può arruolarsi, non può combattere per i nazisti, non può uccidere i suoi amici francesi. Non ha altra scelta. Deve fuggire, lasciare la Germania. Decide di riparare in Svizzera. Prima di scappare, ha un’ultima gara da vincere, il GP di Berlino.
All'indomani di quella vittoria, Albert è su un treno per la Svizzera. Ha con sé un bagaglio, un paio di sci e una bicicletta. A Weil am Rhein, fa irruzione la Gestapo. Perquisiscono i bagagli di Albert. All'interno dei tubolari della bici vengono trovati 12700 marchi. I famigliari di Albert Schweizer, un ebreo espatriato da tempo in Svizzera, amico di Albert, gli avevano affidato quella somma. Erano i risparmi di una vita che servivano per il sostentamento del loro congiunto. Albert viene arrestato e trasportato nel carcere di Lorrach.
Il 2 gennaio del 1940 viene data la notizia. Il comunicato ufficiale spiegava che Albert Richter era stato arrestato mentre cercava di fuggire con una somma di denaro rubata. Per la vergogna, secondo i nazisti, si era suicidato in carcere. Quell'uomo, il suo ricordo, per il regime, dovevano essere cancellati per sempre.
La memoria di Albert non poteva essere cancellata, infangata. Al termine della guerra Ernst Berliner, l’ebreo, l’amico, l’allenatore, sopravvissuto, torna in Germania. Spese tutta la sua vita per riabilitare la memoria di Albert. Nel 1966 riuscì a far aprire sulla vicenda un’inchiesta della magistratura. Il caso fu archiviato. Quei magistrati, anni prima. avevano indossato una divisa scomoda. Meglio tacere sulle vergogne passate. Albert non si suicidò in quella cella. Era stato ucciso da quei nazisti che tanto odiava.
Il nome di Albert Richter fu riabilitato negli albi sportivi tedeschi solo alla metà degli anni ’90. Il velodromo di Colonia è intitolato alla sua memoria
Questa è la storia di un uomo, un ciclista. Era un uomo ostinato. Era un ciclista veloce e potente. Su quella bici correva per vincere. La catena della sua bicicletta lo rendeva un uomo libero. Il suo destino era quello di correre contro tutti… contro tutto…”controvento”…
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