Grazie alle politiche liberiste, grazie alla competizione basata sull’abbassamento del costo del lavoro, i lavoratori italiani sono quelli che guadagnano di meno e pagano più tasse.
Infatti, l’italia è al 23° posto su 30, al primo posto Corea e Regno unito, dietro di noi Portogallo, Repubblica Ceca, Turchia, Polonia, Slovacchia, Ungheria e Messico.
Il dato riguarda i salari netti annuali senza carichi di famiglia, a parità di potere d’acquisto. In Italia si guadagnano 21.374 dollari netti l’anno, circa 15.800 euro, poco più di 1100 euro al mese (compresa la tredicesima). In sostanza, i lavoratori italiani guadagnano il 17% in meno della media dei paesi Ocse.
Tragico è anche il confronto con i guadagni degli altri lavoratori europei. In Italia un lavoratore guadagna mediamente il 44% in meno di un inglese, il 32% in meno di un irlandese, il 28% in meno di un tedesco, il 18% in meno di un francese. Ma secondo il presidente Berlusconi dobbiamo essere ottimisti… è tutta colpa dei comunisti!
I dati Ocse dimostrano quello che Rifondazione comunista, le forze della sinistra anticapitalista e alcuni sindacati stanno denunciando da molto tempo: le politiche del governo e di Confindustria tolgono ai lavoratori e danno ai ricchi, una sorta di Robin Hodd al rovescio.
Vogliamo parlare degli immorali compensi a un esercito di manager incapaci, e i salari e gli stipendi dei lavoratori dipendenti? Vogliamo parlare della iniqua distribuzione della ricchezza, tra profitti e rendite da un lato, e salari e stipendi, dall’altro? Vogliamo parlare della crescita esponenziale del lavoro precario, della sua legalizzazione con la legge 30, del dilagare del lavoro a bassa qualità, basse tutele, nero e grigio?
I dati lo dimostrano inequivocabilmente: in questi ultimi vent’anni il liberismo ha prodotto una profonda svalorizzazione del lavoro con politiche che hanno invece valorizzato, protetto e tutelato i profitti e le rendite. In Umbria la situazione è ancora più pesante per il lavoro dipendente, infatti, i lavoratori umbri guadagnano circa il 10% in meno dei lavoratori delle regioni del Centro-Nord. Questa tendenza si può invertire con una politica che abbatta il carico fiscale e contributivo sulle buste paga italiane, che oggi è arrivato al 46,5%, e innalzando salari, stipendi e pensioni, redistribuendo la ricchezza nazionale verso le classi lavoratrici.
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