di Isabella Rossi
Cronaca di un ergastolo annunciato, così definiscono gli avvocati Luca Gentili e Michele Titoli il lungo processo a carico di Roberto Spaccino, accusato di aver ucciso sua moglie all’ottavo mese di gravidanza e con le la bambina che stava per nascere.
La giornata della difesa è iniziata con una parte dedicata al delitto di maltrattamento e violenza assistita, per il pm lungamente provati in fase dibattimentale.
L’avvocato Michele Titoli ha proposto un’altra versione delle liti familiari. La premessa era che la loro esistenza sia stata provata esclusivamente attraverso le dichiarazioni di persone vicine a Barbara: la zia Elisa, la cugina Chiara, la dipendente della lavanderia. L’analisi delle date dei violenti litigi, quelli emersi dall’anonimato familiare e giunti alla bocca di qualche confidente, è stata accurata. Il tutto è stato accompagnato da “il ridimensionamento” del rapporti affettuosi tra la vittima e i confidenti-testimoni: la zia che non aveva alcuna scusa per rifiutare di fare da testimone al suo matrimonio, la cugina con la quale non c’era grande frequentazione. Un lavoro lungo e certosino, quello della difesa, nella disperata ricerca di incongruenze, spigoli e vuoti per confutare il maltrattamento. Ma la “prova regina” del delitto in questione è fornita dalle stesse dichiarazioni di Spaccino, durante il suo esame. E’ lui a parlare di abitudini alla violenza, di “smanate” che non sono botte di insulti e minacce dette per schezo. Su questo la difesa ha sorvolato, sinora, limitandosi a confermare i toni scherzosi di alcune minacce di morte.
Oggi si concluderà la seconda parte dell’arringa difensiva, incentrata sull’omicidio di Barbara. “La lite di quella sera non coincide con le modalità micidiarie”, ha affermato Gentili ieri in aula, “Roberto ha detto tutta la verità”.
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