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di Isabella Rossi Condanna all’ergastolo per Arshad Mahmood per l’omicidio aggravato, con premeditazione, di Marjana Puscasu, 34 anni. Un omicidio premeditato, ampiamente annunciato sia alla vittima che ai suoi conoscenti. Dopo una relazione con Marjana, Mahmood, di origine pachistana, non voleva accettare che la storia fosse finita per sempre. Ha iniziato a perseguitarla, la donna lo ha denunciato ai carabinieri prima di tornare in Romania, nell'agosto del 2008, a fare visita a marito e figli. Le minacce e le implorazioni di Mahmood non sono servite a farle ritirare la denuncia e convincerla di tornare insieme. L’uomo ha allora deciso di punirla uccidendola in presenza di testimoni a casa di una sua amica. Un delitto di dominio, una volta erroneamente classificato come passionale. Infatti qui la passione non c’entra niente. E’ il sentimento di possesso, che nutre nei confroti di Marjana, ad autorizzarlo a compiere quella che per lui ha il valore di una sentenza di morte. Ed è pubblica, e in quanto tale, eseguita davanti a testimoni, ha riferito il pm Dario Razzi. Con essa Mahmood afferma i suoi diritti nei confronti della donna, con la quale ha avuto una relazione. Niente raptus. Il comportamento dell’imputato è coerente dall’inizio alla fine. Per ucciderla utilizza un coltello che da un po' di tempo custodisce a bordo della sua ape. Durante l'udienza odierna la perizia psichiatrica fornita dal consulente del pubblico ministero, il professor Tarcisio Radicchia, davanti alla Corte d’assise del tribunale di Perugia, presieduta da Giancarlo Massei (giudice a latere Carla Giangamboni), ha confermato che l’imputato era perfettamente in grado di intendere e di volere quando si è avventato sulla giovane donna. Niente disturbi della personalità, che presentano caratteristiche strutturali e non occasionali, o sindrome borderline, ha confermato lo psichiatra. Il presunto “vuoto di memoria” sull’accoltellamento è, inoltre, poco credibile visto che subito dopo l’omicida è andato a costituirsi. Il proposito omicida matura nel mese e mezzo in cui Marjana si trovava in Romania nell'estate del 2008. “Perché non ne poteva disporre in altro modo l’ha uccisa, ne abbiamo visti anche d’italiani comportarsi così”, ha riferito il pubblico ministero nella sua requisitoria, “è un problema di genere nel rapporto tra uomo e donna che non conosce confini territoriali.” Per l’avvocato Paola Pasinato, che rappresenta insieme all'avvocato Teresa Manente il Comitato 8 marzo, parte civile nel processo, “a Marjana, oltre alla vita, l’imputato aveva tolto il diritto di autodeterminarsi”. “La morte è la punizione per aver lasciato Arshad, per essere tornata a casa, per essersi riappropriata della propria vita” secondo l’avvocato Maria Cristina Ciace, che rappresenta il Telefono Rosa, anch’esso parte civile al processo. Per la difesa, l’avvocato Simonetta Cavallai, al momento del delitto sussisteva una parziale incapacità di intendere e di volere. Il rapporto con la Puscasu era stato idealizzato a tal punto da abbandonare famiglia e figli in Pakistan. L’avvocato della difesa ha escluso una premeditazione, ma sono state le dichiarazioni stesse dell’imputato a smentirla. Mahmood ha riferito, infatti, di “non aver portato con sé mai un coltello prima di allora”. Le parti civili hanno richiesto il risarcimento simbolico di un euro e la copertura delle spese di consulenza. Condividi